Arrivare in doppia cifra era l’obiettivo minimo, raggiungere i 20 gol già a marzo era una previsione ottimistica: manca un solo gol, però, e Tammy Abraham arriverà alla cifra tonda che, ad inizio stagione, sognava, scrive La Gazzetta dello sport. L’adattamento poteva non essere semplice e lui lo sapeva, all’inizio ha anche sofferto un po’, poi si è preso la squadra, rigori compresi.

L’attacco giallorosso pesa su di lui: 19 centri di Tammy su 70 reti complessive segnate dalla Roma fino a questo momento, quasi il 30%, di cui 12 in campionato. Con il gol decisivo di La Spezia – il più tardivo della storia della squadra in Serie A – è diventato il primo inglese a raggiungere 12 marcature in una singola edizione del torneo da Gerald Hitchens (12 nel 1962/63) e anche questa è una piccola medaglia della sua stagione, che migliora di giorno in giorno. 

Contro la squadra di Thiago Motta ha sbagliato tanto, ma la personalità con cui ha voluto tirare il rigore è un valore aggiunto, sia per Mou, sia per i compagni. E così Edin Dzeko appartiene al passato: il bosniaco per arrivare a 20 gol in una stagione ha dovuto aspettare un anno, mentre Abraham vede il traguardo vicinissimo: un inedito per la Roma e anche per lui. Quando ha giocato stagioni di alto livello in Premier non ha mai segnato tanto, quando è sceso di categoria, quindi in Championship con il Bristol City e Aston Villa, è arrivato a 26 centri stagionali.

Abraham, però, ha bisogno di sbagliare un po’ meno e ha bisogno anche che i suoi compagni di reparto trovino la sua stessa continuità perché dei cinque attaccanti, continua a segnare solo lui. Gli altri sono arrivati a 18 reti: El Shaarawy 6, Zaniolo e Shomurodov 4, Felix e Perez 2. Anche per questo Mourinho non lo toglie praticamente mai dal campo e c’entra poco il fatto che quando lo ha chiamato per convincerlo a lasciare il Chelsea e Londra gli avesse promesso il posto da titolare.

Ma non è l’unico a cui erano state garantite delle cose, anche Shomurodov era arrivato a Roma con delle promesse, ma il tecnico non si fa problemi a fare delle scelte dolorose o impopolari. Abraham, poi, sulla carta, è il suo pupillo, ma anche con lui alterna bastone e carota. Non è un caso che, ogni volta che parla, ribadisce come debba e possa fare di più. “Devi diventare un mostro”, gli dice sempre e per aiutarlo, insieme al suo staff, sta facendo di tutto per metterlo nelle condizioni migliori. Allenamento personalizzato, quando serve (succede lo stesso anche a Zaniolo e ad altri), e tanto lavoro tattico al video per studiare le difese e gli avversari e prendere confidenza con la Serie A.

Per quanto riguarda il fuori campo. Abita all’Eur nello stesso palazzo dove Totti ha gli uffici della sua società, ma si diverte e rilassa a passeggiare con fidanzata e amici sia nel quartiere sia in centro. Shopping (è appassionato di scarpe), sushi, un selfie che non nega mai a nessuno, sempre sorridente. E poi, quando qualche tifoso lo incontra al bar o in pizzeria e lo riconosce, Abraham non solo si ferma, ma spesso va anche alla cassa a pagare. Un atteggiamento che la gente adora, soprattutto i bambini, che iniziano a chiedere la sua maglietta, e lui di questo è orgoglioso.

Quella stessa maglietta che domenica ha lanciato al settore ospiti di La Spezia dopo averla baciata, non una, ma tre volte. Dettagli che lo stanno facendo entrare nel cuore dei tifosi, così come quell’inno cantato in campo mentre l’arbitro all’Olimpico deve ancora fischiare. 

Adesso che la Roma entra nella fase decisiva della stagione, ha l’occasione di prendersi tutto il cuore della gente. L’importante, come gli ripete sempre Mourinho, è non accontentarsi: a vedere la fame che aveva a La Spezia prima di calciare il rigore sembra non esserci pericolo. La speranza, a Trigoria, è che i compagni prendano spunto.



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