(Il Messaggero – U. Trani) Anche se all’Olimpico, cioè aprendo la porta di casa, la Roma si riaffaccia tra le big d’Europa per non recitare più da comparsa. La Champions League, con le migliori del nostro continente tra le 32 partecipanti (a parte l’Arsenal), è ormai il vero mondiale per club: il top e il lusso del calcio entra negli 8 gruppi e quello toccato a Di Francesco e ai giallorossi ne è la conferma. L’inizio, stasera alle 20,45, è subito complicato. Match da brividi. Gioco e talento, per una notte, passano in secondo piano. Senza carattere e agonismo, è inutile presentarsi. Il muro dell’Atletico di Simeone è granitico per spirito e stile. Durissimo da abbattere, dunque, per qualsiasi avversaria, a prescindere dal blasone e dall’esperienza. Così, vista da Trigoria, è evidente proprio in questa competizione la differenza con il rendimento del Madrid del Cholo, meno elegante e più cattivo del Real di Zidane: nelle ultime quattro stagioni, oltre ad aver sempre conquistato il primo posto nella fase a gironi, è arrivato due volte in finale (2014 e 2016), una nei quarti (2015) e una in semifinale (2017), arrendendosi sempre solo nel derby, contro i rivali più odiati, i blancos e CR7.
PERCORSO DIFFERENTE – All’Atletico, comunque, restano le medaglie sul petto che, dal 2013, sono poi le 29 vittorie in 48 partite di Champions, con 10 pareggi e 9 sconfitte. Risultati da grande che, con il 2° posto nel ranking Uefa dietro al Real, oscurano quelli della Roma, soprattutto durante la gestione americana. Solo 2 vittorie, l’ultima il 4 novembre del 2015, in 16 gare (compresi i playoff dell’anno scorso), con 6 pareggi e 8 ko (22 gol segnati e 36 subiti, con i crolli umilianti contro il Bayern, 7-1, e il Barça, 6-1), festeggiando solo per gli ottavi del 2016 (fuori, poi, contro il Real senza segnare nemmeno un gol). Alla decima partecipazione alla fase a gironi (l’undicesima con l’unica in Coppa dei Campioni), i giallorossi hanno l’obbligo di cambiare il loro trend recente proprio sotto lo sguardo del presidente Pallotta e di riprendere gradualmente quota a livello internazionale.
FASE CRUCIALE – L’Europa rimane senz’altro il pianeta ancora da scoprire: per Di Francesco, al debutto; per diversi giocatori che, come lui, non la conoscono per niente, i titolari Alisson, Peres (se avrà spazio), Juan Jesus e Defrel, o come Strootman che l’ha appena sfiorata, appena 6 minuti contro il Cska nel gelo di Mosca il 25 novembre del 2014, e per la società che, in Europa, ha alzato solo un trofeo, la Coppa delle Fiere, l’11 ottobre del 1961. La Roma, insomma, non ha il curriculum dell’Atletico e nemmeno del Chelsea, le favorite del gruppo C. Ma Di Francesco non si arrende certo prima di cominciare. Sa che stasera, con la speranza di avere la spinta almeno di 35 mila spettatori, il clima sarà da battaglia. E, pur con l’emozione del debuttante, si vuole giocare la sfida con le armi migliori: l’identità e la compattezza, l’equilibrio e la partecipazione. I giallorossi, a parte il test poco significativo con la Chapecoense, non giocano dal 26 agosto, la notte del ko contro l’Inter dell’ex Spalletti. Ma il rinvio della gara di sabato a Marassi contro la Sampdoria è stato sfruttato per preparare esclusivamente la partita contro l’Atletico, recuperando pure giocatori stanchi e non al meglio.
SPARTITO DI RIFERIMENTO – Nessuno, però, ha la certezza di quanto sia cresciuta la Roma, tatticamente e fisicamente, in queste due settimane e mezzo. Ma, con i forfait previsti di Karsdorp e Schick (entrambi out dalla lista dei 21 convocati), il 4-3-3 non verrà snaturato e gli interpreti saranno gli stessi di inizio stagione. Con il rientro di Peres, è la squadra che affrontò l’Atalanta alla prima giornata di campionato. L’alternativa è Florenzi (non gioca da quasi 11 mesi e per questo dietro nel ballottaggio): uscendo Fazio, ecco per dieci-undicesimi i titolari della partita contro l’Inter.
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