Il mister trasformista lo fa pure con l’armadio di Trigoria: domenica l’ha aperto e s’è infilato l’abito scuro, abbandonando la cara vecchia tuta, che sarà pure comoda ma vuoi mettere un po’ di sana eleganza? Luciano Spalletti si cambia e la cambia, la Roma. Nove mesi per analizzarla come dentro un laboratorio. E provare, riprovare: un test tira l’altro, la soluzione non si trova mica come per incanto, e non bastano sempre solo le prove tattiche di Trigoria. A volte serve il riscontro della partita per far sì che il cerchio diventi quadrato, finalmente. Florenzi trequartista è l’ultimo esperimento (riuscito) dell’allenatore. Che fa parte di questa categoria qui, entra di diritto tra quelli che modellano le proprie convinzioni sulle esigenze, sulle caratteristiche, sui momenti. Una rivoluzione da queste parti, abituata com’era la Roma degli ultimi anni a scivolare sempre su stessa.

MODULI – Qui se ne vedono di tutti i colori, la noia non è quasi mai invitata. Non conta il modulo, contano i principi: Spalletti l’ha sempre urlato e poi l’ha messo in pratica. Con la Roma ha cambiato almeno cinque schieramenti. Ha sperimentato la difesa a tre, l’ha abbandonato sposando il trequartista, poi il finto centravanti, il centravanti in carne e ossa, quel vecchio adagio del 4-2-3-1 (che poi è la via maestra del momento) e quella formula così stramba che era parsa inizialmente il 4-2-4, poi schieramento di successo e di riferimento della rincorsa Champions della scorsa stagione. Ti giro e ti rigiro la Roma, perché — lo ripete spesso Spalletti — dall’esperienza in Russia è tornato cambiato, aggiornato, per meglio dire arricchito.

I GIOCHINI – Non c’è una sola Roma, ma mille e chissà quante altre. E chissà quanti altri giocatori passeranno qualche giornata nel laboratorio spallettiano. Che lo immaginiamo così, con i dati del match analyst in mano e il pensiero fisso sulla prossima modifica. L’elenco è già lungo oggi. Rüdiger ha fatto il centrale, il terzino destro in una difesa a quattro, persino l’esterno a destra avanzato in un 3-4-2-1. Esattamente come dalla parte opposta ci ha provato (e bene) El Shaarawy. Esterno tuttafascia, come piace dire al tecnico giallorosso. È successo all’inizio del suo ritorno, molti mesi fa: sembra una vita, ma ha lasciato il segno eccome. Il Faraone nel frattempo è tornato a giocare alto, basta coperture a tutto campo, quelle a sinistra le può garantire meglio un terzino come Bruno Peres, di natura destro ma spesso adattato dall’altra parte. Il brasiliano ha iniziato a giocarci dopo Juan Jesus ed Emerson, per poi tornare a galoppare dall’altra parte, a destra, nell’ultima partita, quella vinta contro l’Inter. Lì, tra un gol di Dzeko e una capocciata di Manolas, si sono visti anche gli strappi di Florenzi. Incursore, proprio alle spalle del bosniaco. Una casellina in cui Alessandro ancora non si era mai calato e che fino ad oggi era stata occupata con successo da Radja Nainggolan. Già, proprio lui, il simbolo più autentico del trasformismo. Preso dal mezzo al campo e portato alto nel 4-2-4, a volte anche più della punta, per sfruttarne l’aggressività e la capacità di giocare spalle alla porta. Chi invece la porta la deve vedere e annusare è Momo Salah. Anche su di lui Spalletti ha lavorato su, avvicinandolo alla «zona rossa», l’area di rigore, fino a farlo scivolare a volte a fare la punta centrale. Tutte finezze spallettiane, tutti giochini, per dirla a parole sue. Ma che giochini, però…

(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini/A. Pugliese)



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