(Il Messaggero – U. Trani) «Il turnover, quando si vince, va sempre bene…». Di Francesco, di questi tempi, lo ripete spesso. Anzi, a essere precisi, ha spiegato che può funzionare anche quando è massiccio. Lo chiarì proprio prima della partita contro il Verona, la prima in cui Eusebio ha deciso di cambiare mezza squadra. Non avuto paura, in quella circostanza, di snaturare la traccia del sistema di gioco su cui sta insistendo da un paio di mesi e di intaccare l’identità della nuova Roma che è completamente diversa dall’ultima (non nei giocatori: Kolarov è l’unico acquisto sempre presente), quella del record degli 87 punti. E’ andato dritto, senza preoccuparsi che l’Idea potesse di colpo evaporare. Ha avuto ragione: 3 successi, 10 gol segnati e 1 subìto, e già 2 punti in più dello scorso torneo. La crescita c’è stata. Ma non di partita in partita. Perchè le 30 conclusioni su 69 totali del trittico le ha contate nella prima delle tre gare. E’ il metodo che dà garanzia e, come si è visto, a prescindere da chi va in campo. «Devo difendere il lavoro di questi ragazzi: non è mai facile vincere, si dà tutto per scontato. Le partite vanno affrontate col piglio che sta avendo questa squadra» ha sottolineato dopo l’ultimo successo, sabato contro l’Udinese. Perché il calendario, pure se favorevole, non deve andare attaccare la bontà del suo piano. Che punta sul coinvolgimento di gruppo. Nessuno, insomma, si senta escluso.

TRAVASO NECESSARIO – Di Francesco, prima ancora di decidere di passare attraverso la rotazione extralarge delle ultime partite, si è augurato di poter sempre allenare 22 giocatori. Due per ruolo. E chi resta fuori non l’ha mai chiamato riserva. Perché lui, per il sacrificio e la disponibilità che chiede ai singoli, non si può permettere di dividere la rosa in buoni e cattivi, in campioni e panchinari. E non si è smentito, dando un senso al suo discorso d’insediamento: ha già utilizzato 21 giocatori (compreso Tumminello che ieri si è infortunato gravemente con la maglia del Crotone). Solo Alisson (l’unico che non ha perso nemmeno un minuto), Kolarov e Dzeko sono sempre partiti dall’inizio. La giostra non si è mai fermata per gli altri, soprattutto dopo le prime 3 partite stagionali. Il turnover è scattato quando è diventato obbligatorio per gli impegni ravvicinati. Mirato a quelli. Tra la prima partita, contro l’Atalanta a Bergamo, e la seconda, contro l’Inter all’Olimpico, appena un cambio. Senza la gara infrasettimanale, è intervenuto solo perché si è fatto male Peres. Lo stesso, dopo la sosta per le nazionali, contro l’Atletico: stessa formazione schierata contro l’Atalanta. Sempre un cambio. Ne avrebbe fatti di più tre giorni prima, a Marassi contro la Sampdoria, se la partita non fosse stata rinviata. Si è invece scatenato subito dopo la gara di Champions: raffica di novità contro il Verona, il Benevento e l’Udinese.

PERCORSO DISPENDIOSO – Cinque innesti per non perdere il ritmo, fondamentale per il suo gioco che vive di pressing e velocità. «Ora mi diverto anch’io a vedere la Roma. E con me si divertono anche i giocatori. Prima c’era voglia di tenere il pallone staticamente e gli altri ci mangiavano, ora c’è il desiderio di muoverla per arrivare in ampiezza e attaccare. E’ quello che voglio. Un calcio verticale ma non significa andare all’altra parte con 40 metri di lancio, ma appunto muovere il pallone, con la qualità degli interpreti e con la condizione di tanti che sta migliorando». Eusebio è fiero di come la squadra lo segue. E di come gli appare. Aspettando Karsdorp e Schick, l’ha rivalutata, e Peres è il testimonial, nei ruoli (chiave) ancora scoperti. Senza piangersi addosso. Anzi, spesso con il sorriso.



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