Daniele De Rossi, Gianluca Mancini

AS ROMA NEWS DE ROSSI – Stanno ancora tutti lì, sulla riva del fiume. Sorci (si può dire?) mediatici, vedove inconsolabili che non riescono a farsene una ragione di come le cose potessero essere diverse, falsi paladini dell’etica, maggiordomi di professione convinti di capire dove spira il vento per poi comportarsi di conseguenza, invertebrati naturali incapaci di elaborare un pensiero indipendente, scrive Piero Torri su La Repubblica.

Stanno tutti lì, sulla riva del fiume, inchiodati tra le loro miserie, dalla Roma di Daniele De Rossi, bella e possibile come qualcuno, al contrario, aveva provato a convincerli (riuscendoci) che non potesse essere, capace di andare a vincere a San Siro contro il Milan nella prima sfida dei quarti di finale di Europa League, in uno stadio in cui nelle due precedenti visite stagionali in campionato, era stata presa a pallonate dallo stesso Milan e dall’Inter che ormai sta per cucirsi sulla maglia la seconda stella.

Decima vittoria stagionale in sedici impegni, quattro pareggi, due sconfitte, una con molti rimpianti contro l’Inter di cui sopra, la seconda a Brighton ( con un gol regolarissimo annullato ad Azmoun) del tutto ininfluente dopo le quattro pappine rifilate ai discepoli di De Zerbi all’Olimpico: questi i numeri della metamorfosi che il Sedici è stato in grado di concretizzare da quando è tornato a casa, a Trigoria, accettando con il sorriso di una personalità devastante la fortuna, come l’ha definita lo stesso De Rossi, di avere l’opportunità di allenare la sua Roma che «ha giocatori forti» , quando al contrario sembrava che in maglia giallorossa ci fosse solo una banda di scarsoni.

Stanno tutti ancora lì, sulla riva del fiume, a domandarsi come mai questo ragazzo ormai adulto, con esperienza zero o quasi alle spalle come tecnico, stia riuscendo a convincere un po’ tutti di essere bravo, soprattutto di avere idee che poi è la chiave di tutto. Che dire di quel Faraone spostato sulla corsia destra, intuizione da applausi a scena aperta, per andare a disinnescare, riuscendoci, la celebrata corsia sinistra, Theo e Leao ridimensionati a giocatori normali, fischiati pure dai loro tifosi?

E di un Celik restituito agli anni di Lille quando vinse il titolo strappandolo al Psg? E di uno Smalling restituito al calcio come se non fosse trascorso l’anno più difficile della carriera dell’inglese? E di un Paredes a cui deve aver detto, dopo avergli consegnato la sua maglia numero Sedici, di ricordarsi come giocava lui, Daniele De Rossi? E di uno Spinazzola gestito con l’intelligenza di chi sa di calcio?

Stanno tutti ancora lì, sulla riva del fiume, sperando che la partita di ritorno contro il Milan, dia contorni di successo alle loro miserie, non capendo che, in ogni caso, il cadavere che aspettano non passerà comunque. Sia chiaro, la semifinale è ancora da conquistare, ma De Rossi ha già vinto. Anche se gli manca l’ultimo passo, quello di costringere chi sta sulla riva del fiume a buttarsi in acqua.



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