Eusebio Di Francesco

«Ci servono ancora un vice Dzeko, due esterni offensivi, un terzino sinistro e un difensore centrale», disse Eusebio Di Francesco, in diretta tv, lo scorso 10 luglio. Un mese abbondante dopo, e a poche ore dall’inizio del campionato, all’appello dell’allenatore della Roma mancano ancora due pedine: un esterno e un difensore centrale. Rosa incompleta, al momento, ricordando le parole del tecnico. Da quel 10 luglio sono arrivati un terzino sinistro (Kolarov), il vice Dzeko (Defrel) e un esterno offensivo (Cengiz Under). Manca l’esterno offensivo titolare (con gli oltre 30 milioni offerti per Mahrez, non si dovrebbe faticare a trovare un altro Mahrez) e quel centrale chiesto da Di Francesco in un momento in cui già c’erano (e ci sono) sei centrali (Manolas, Fazio, Jesus, Moreno, Castan e Gyomber). Come dire: più una richiesta di qualità che di quantità, giusto? Oggi la Roma si trova ad avere solo due esterni bassi (Emerson e Karsdorp sono ancora fuori causa): Bruno Peres a destra e Kolarov dall’altra parte. Qualora uno dei due non fosse disponibile, l’allenatore sarebbe costretto ad impiegare sulla corsia un adattato. Tutto questo senza dare giudizi sui singoli, che, nel caso di Bruno Peres, sarebbero quanto mai negativi.

LA (NON) STRUTTURA TATTICA – Detto che a undici, in ogni caso, Di Francesco ci arriverà sempre, a partire da Bergamo, va aggiunto che qualcosa stona. Anche perché la Roma non ha ancora dato l’idea di essere una squadra sotto l’aspetto tattico. Di Francesco ha portato in campo un sistema di gioco che non è stato ancora digerito. L’ha confermato il tecnico stesso ogni volta che si è trovato a commentare un’amichevole della propria squadra. A poche ore dall’inizio del campionato, e con tutte le attenuanti legate ad una rosa incompleta (e carica di convalescenti e lungodegenti), sul piano del gioco ci si aspettava qualcosa di più. Raramente si è vista una Roma alla Di Francesco, che non significa – questo deve essere chiaro – una rivisitazione dello Zeman Anni 90, ma una squadra che – per dirne una – cerca continuamente le verticalizzazioni. Non solo quelle, certo; ma anche quelle. Invece, poco. Molto poco. Una Roma non completamente strutturata, non (ancora) definita: ecco l’attuale squadra di Di Francesco. Che insiste con le proprie idee, e fa bene, ma che dovrebbe tener conto anche degli errori (limiti) figli delle sue idee. Se non altro, per non essere accusato di essere un inguaribile oltranzista.

FARE E DOVER FARE – Nelle ultime cinque amichevoli (una vittoria, due pareggi e due sconfitte), la Roma ha viaggiato alla media-gara di 2 gol al passivo, con 7 gol totali all’attivo. Dati che sconfessano la natura zemaniana (etichetta che viene usata in maniera dispregiativa nei confronti del tecnico abruzzese) della Roma, perché le squadre del boemo subiscono tanto ma tanto segnano. La Roma di oggi, invece, fatica a costruire perché i nuovi movimenti non sono stati ancora recepiti e assimilati in maniera automatica. Ecco perché spesso in campo si pensa a cosa dover fare, non a cosa fare; e questo crea ritardi sui tempi di gioco, sulle scelte tecniche. Così la manovra in fase di possesso non è fluida e, al primo errore, si soffre in maniera esagerata nella fase di non possesso. L’imbarcata di Vigo ha una matrice tattica, certo, ma la componente tecnica (cioè, la qualità dei giocatori) ha avuto in negativo un peso determinante. Errori del singolo ed errori di squadra. Il top negativo. Quando ti affidi al gioco e non ai giocatori, fatalmente in avvio dei lavori vai incontro a problemi. Due estati fa, Maurizio Sarri, il leader massimo del tatticismo, raccolse con il Napoli una sconfitta (Sassuolo) e due pareggi (Samp in casa e Empoli fuori) nelle prime tre giornate di campionato, e già si parlava di fallimento. Poi, dopo aver rimodellato il sistema di gioco, chiuse al secondo posto. E oggi, come sanno tutti, del Napoli di Sarri si parla in ben altri termini. Non può essere, perciò, lo spostamento di uno o due elementi 10 metri avanti oppure dietro rispetto al recente passato, a condizionare il gioco. Del resto, sarebbe assurdo, e anche un po’ triste, scoprire oggi, cioè con il campionato alle porte, che ci sono giocatori non adatti alla filosofia di Di Francesco. La Roma sta studiando Eusebio e, raccontano, lo fa senza batter ciglio. Paradossalmente, addirittura con eccessiva attenzione nello svolgere il compitino per non tradire l’allenatore. Che, tanto per ricordarlo, aspetta ancora un esterno titolare e un altro centrale. E tra poche ore c’è l’Atalanta.

(Il Messaggero – M. Ferretti)



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