Josè Mourinho

AS ROMA NEWS MOURINHO – Leader, sciamano, virtuale signore del club. José Mourinho, ormai, non è più l’allenatore della Roma: è la Roma stessa. Il portoghese incarna l’essenza del romanismo – la parte nobile e quella vittimista – essendo riuscito a compattare dietro di sé tutta la tifoseria, che negli ultimi quindici anni si era divisa per i motivi più diversi, scrive La Gazzetta dello Sport.

Ci sono stati sensiani, sorosiani, pallottiani, spallettiani, tottiani fino a che tutti si sono riuniti sotto le bandiere dello Special One, che è riuscito a relegare sullo sfondo persino la famiglia Friedkin, capace di investire 548,8 milioni in venti mesi. È Mourinho il “front man” di una squadra che ha solo due punti in più rispetto a quella di Fonseca (giunta in semifinale di Europa League), ma che ha riportato l’entusiasmo all’Olimpico.

I numeri degli spettatori non mentono. I giallorossi sfidano Milan e Inter come numero di presenze allo stadio. E il grosso lo si deve al carisma di Mou, capace di far affluire 65.000 persone domenica per il match contro la Salernitana ultima in classifica e che giovedì porterà 70.000 persone all’Olimpico. Un “tutto esaurito” che così non sarà solo perché i tifosi norvegesi non riempiranno il settore loro riservato. Quella del portoghese, infatti, è una sorta di chiamata alle armi, essendo riuscito a dividere il calcio in modo manicheo proprio come piace alla pancia del tifo. Chi è con lo Special One è di sicuro contro Knutsen (tecnico del Bodo), quasi sempre contro gli arbitri, spesso contro i giornalisti. E quando si innescano certi meccanismi, non c’è passato che possa fornire un salvacondotto.

Come Pruzzo, bandiera di una generazione di giallorossi, finì in lacrime nel 2020 a causa degli insulti dei tifosi per aver “osato” fare i complimenti a Lulic della Lazio, per la finale di Supercoppa contro la Juve, domenica è stato il turno di Walter Sabatini, ex d.s. giallorosso che ancora ha ancora tanti estimatori nella Capitale. La colpa? Quella di aver definito «ignobile» l’atteggiamento non di Mourinho, ma del suo staff, teso a condizionare l’arbitro.

E se persino il portoghese si era sentito in dovere di porgere le scuse perché uno dei suoi aveva fatto ironie con la panchina granata sulla retrocessione alle porte, sui social giallorossi in tanti hanno attaccato, Sabatini – l’antico “campione”, l’uomo che aveva acquistato Alisson e Salah – perché si era messo sulla strada dei pretoriani di Mou, che in questa stagione non hanno una “fedina” disciplinare immacolata. E giù a fare la contabilità dei torti arbitrali subiti e i “memento” su quanto i vari Gattuso, Cambiasso o Bonucci abbiamo sempre provato a influenzare gli arbitri. Come se il «così fan tutti» equivalesse a una assoluzione collettiva.

Insomma, Mourinho è il nuovo Spartaco giallorosso, capace di diventare simbolo di un club che da sempre si sente all’opposizione rispetto al Palazzo dopo essere stato l’uomo immagine di società – Chelsea, Inter, Real Madrid e Manchester United – che nel potere economico e politico hanno sempre avuto solide radici. Più o meno è come se Luigi XVI, agli albori della Rivoluzione Francese, si fosse messo alla testa degli insorti per liberare i prigionieri della Bastiglia.

Miracoli del calcio. Di quelli utili per ricompattare un ambiente come quello della Roma che, per la prima volta da 14 anni, nel mese di aprile sente di poter tornare a vincere un trofeo, fosse anche la Conference. Morale: in tempi di comunicazione muscolare, nessuno è più bravo di Mourinho. E non vorremmo essere nei panni dei Friedkin se, in un giorno lontano, i loro desideri andassero in collisione con quelli dello Special One, l’idolo delle folle.



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