Monchi, direttore sportivo della Roma

(Il Messaggero – U. Trani) La lente di ingrandimento, usata in queste ore da Di Francesco e Monchi per analizzare le cause del preoccupante black out, inquadra il periodo che sintetizza la lenta e ormai certificata involuzione della Roma. Sono 46 i giorni presi in esame dal tecnico e dal ds. Si parte dall’unica sconfitta in Europa, il 22 novembre a Madrid contro l’Atletico, e si arriva all’ultima in campionato, sabato scorso all’Olimpico contro l’Atalanta. Le partite sono, invece, 10 e i numeri, come sempre indicativi, rispecchiano fedelmente la flessione che può compromettere la stagione: 4 ko, 2 pareggi e 3 vittorie, con 9 gol realizzati e 10 subiti (saldo, dunque, negativo). Il successo più significativo il 5 dicembre, in casa, contro il Qarabag, per la qualificazione da prima agli ottavi di Champions; la caduta più dolorosa il 20 dicembre, sempre all’Olimpico, contro il Torino, per l’eliminazione agli ottavi dalla Coppa Italia. Ma, a prescindere dai risultati, le prestazioni mai sono state convincenti. Nel gioco e nello spirito. Sparito il comportamento da squadra che ha dato garanzie nelle precedenti 16 gare. Così, nè all’improvviso e nè inaspettatamente, sono venuti alla luce vizi antichi e mai risolti. E sottovalutati, spostando l’attenzione sull’ambiente o indirizzando il mirino sul nemico di fatto invisibile. Sono tre, però, le questioni da approfondire. Perché la casualità non è di casa Trigoria.

GRUPPO FIACCO E VULNERABILE – Le «sensazioni negative» respirate ultimamente da Monchi non fanno riflettere solo lui. Anche Di Francesco sta cercando di capire perché mentalmente, come ha ammesso sabato sera pure Strootman, il gruppo abbia mollato. Sia il ds che l’allenatore, già prima della partita contro l’Atalanta, hanno chiesto ai giocatori di mostrare in campo la personalità e l’attaccamento. Sono intervenuti perché le risposte, già nel finale del 2017, non erano state soddisfacenti. Il messaggio è stato indirizzato soprattutto ai big, quasi tutti usciti di scena sul più bello. E cioè nella fase cruciale della stagione quando la Roma avrebbe dovuto essere protagonista nella corsa scudetto. L’allarme è scattato il 23 dicembre allo Stadium dove la Roma ha perso, 1-0 contro la Juve, il 3° scontro diretto del girone d’andata: mai entrati in partita Nainggolan, De Rossi e Strootman, i titolari del centrocampo. La solita timidezza e l’eccessivo rispetto davanti ai campioni d’Italia. Il gap con la Juve è rimasto evidente. Caratterialmente, però. Nelle individualità, dunque, e non nel gioco. Non è ancora la squadra di Monchi e forse nemmeno quella di Di Francesco. Ma entrambi già sono chiamati a tirare le somme sui singoli. Per anticipare il futuro. La stanchezza di gente come Florenzi, Kolarov e Dzeko, con i 2 stranieri spesso esclusi dal turnover per mancanza di alternative, ha poi inciso sulla brillantezza della squadra. Che corre meno di prima e anche male. Il pressing è fiacco e l’assetto di conseguenza vulnerabile.

ROSA INCOMPLETA – I rinforzi d’estate hanno fin qui deluso. E, come sanno bene pure a Trigoria, non sono stati mirati alle esigenze della Roma e dell’allenatore. Dimezzata sul nascere la fascia destra: ceduti Ruediger e Salah, su quel lato i sostituti è come se non fossero mai arrivati, a cominciare da Karsdorp e Schick che, tra l’altro, si sono presentati nella Capitale da indisponibili. E in regia, Gonalons fa rimpiangere Paredes. I 3 acquisti obbligati di ieri diventeranno quelli di domani. Purtroppo non di oggi, nella sessione invernale di mercato che si aprirà per il club giallorosso solo con la chiave degli scambi o dei prestiti.

FINALIZZAZIONE SCADENTE – La Roma ha l’8° attacco della serie A (30 gol). Ma, guardando l’abbondanza di conclusioni, è la mira che non è da scudetto. In campionato Dzeko è meno decisivo (9 reti), El Shaarawy (4) e Perotti (3) vanno al minimo, Schick, Defrel e Under sono in letargo.



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