Tammy Abraham, Jordan Veretout

ULTIME NOTIZIE AS ROMA SAMPDORIA – La Roma di Bergamo è ancora negli occhi di chi non vuole chiuderli, temendo poi che riaprendoli possa riaffiorare quella «squadra naif» più volte denunciata da Mourinho nelle ultime settimane. Nel giorno più difficile, contro l’avversario più complicato, è invece andata in scena una rivoluzione copernicana, pensando agli sguardi smarriti soltanto di una decina di giorni prima contro l’Inter, scrive Il Messaggero.

La metamorfosi è stata totale. Smalling un gigante, in marcatura e per personalità, andando per la prima volta da quando è in Italia testa a testa con un avversario (Zapata). Zaniolo pronto a prendere calci ma anche a darli, come la scivolata che gli è costata il cartellino giallo nel primo tempo. Cristante, spesso e volentieri tacciato di poca personalità, un leone in mediana.

Per non parlare di Ibanez, ormai emblema del Mourinho’s style o di Abraham che, sotto gli occhi dell’ex Dzeko, ha giocato una partita degna del miglior Edin. Una squadra cattiva agonisticamente, concentrata, come da tempo non si vedeva. A tal punto che Mancini, uno che di carattere ne ha da vendere, si è dovuto riscoprire a far da paciere. Sembrava di assistere al sequel sportivo di «Quella sporca dozzina», capolavoro cinematografico degli anni 60′. Mou, in versione maggiore Reisman, si gustava la partita a bordo campo. Mai seduto, sempre partecipe, come fosse appunto il dodicesimo.

Ma dove nasce tutto ciò? Bisogna tornare indietro a questa estate. «Habemus squadra» scrisse José sul proprio profilo Instagram all’indomani della rissa estiva con il Porto, postando anche una foto che lo ritraeva compiaciuto in panchina a braccia conserte gustandosi la scena. Erano trascorse appena tre settimane e probabilmente era stato troppo ottimista.

Quella era stata perlopiù una reazione di pancia, dettata dalla volontà di una squadra che voleva compiacere il mostro sacro che aveva deciso di allenarla. Per cambiare realmente la testa del gruppo, c’è voluto più tempo. E il primo a rendersene conto è stato proprio Mou. Illuso dallo spirito battagliero mostrato in Portogallo (reiterato nel match con il Betis), si è reso conto che per «fare la guerra» e «andare in battaglia», ci voleva una rosa più larga. Non bastavano i 13-14 sui quali aveva puntato, anche perché squalifiche e infortuni hanno spesso ridotto le scelte all’osso, costringendolo a inserire elementi non ancora pronti. E così ha assistito inerme alle disfatte di Verona, Bodo, Venezia e per ultimo contro l’Inter.

Proprio con i nerazzurri, il suo post-gara sembrava una resa. Invece ha rappresentato un nuovo punto di partenza. Nei giorni di avvicinamento alla gara con l’Atalanta, José ha fatto leva sull’amor proprio dei calciatori. A Bergamo, poche ore prima dell’inizio del match, nella riunione tecnica ha scherzato con loro, pungolandoli: «Dovevamo essere noi a sorprendere tutti, soprattutto quelli che tutti i giorni ci ricordano che da mesi, anni e giorni non vinciamo contro una grande, e invece è arrivato il terremoto».

È entrato nelle loro teste, in quello che da sempre gli riesce meglio. In versione moderna, un po’ quello che fece Mazzone nella settimana del derby vinto 3-0 contro la la Lazio di Zeman nel 94′. Non arrivando a ritagliare gli articoli di giornale e a incollarli sugli armadietti, ma comunque stimolando una reazione. «Ci danno tutti per sconfitti, noi invece andiamo a Bergamo per vincere», ha ripetuto ai suoi ragazzi. Un martello. E quando la testa recepisce, le gambe vanno di conseguenza.

Ne è seguita una prova a livello tattico superba: squadra cortissima, aggressiva nella propria metà campo e pronta a colpire in contropiede. Rivedere una Roma del genere, ha regalato una speranza che va ben oltre il gap ridotto dalla zona Champions. Domani contro la Sampdoria, in un Olimpico gremito, l’occasione per dimostrarlo.



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