Il derby è il simbolo della stagione della Roma. Che può andare in frantumi. Come nel 2013, forse addirittura peggio. Prima di guardare avanti, è bene voltarsi indietro, rifacendo il percorso delle ultime settimane. Le date che sintetizzano il crollo giallorosso sono entrambe in questo 2017: 1° marzo e 30 aprile, cioè i ko dolorosissimi e umilianti contro la Lazio. In mezzo 61 giorni usati per dare il peggio di sé: fuori dall’Europa League agli ottavi, dalla Coppa Italia in semifinale e dallo corsa scudetto. E, tanto per non farsi mancare niente, anche il 2° posto è a rischio: il Napoli a -1 ha il calendario più agevole. In due mesi, insomma, la certificazione dell’ennesima annata a vuoto. Zeru tituli, come accade da 9 anni a Trigoria. En plein, invece, di figuracce, pure all’estero, a cominciare dall’eliminazione di agosto nel play off di Champions. Ora è dura arrivare al traguardo senza portarsi dietro gli strascichi del solito nulla sbandierato per mesi. Con il pericolo, visto che le responsabilità del flop vanno equamente divise tra le varie componenti, di una possibile lotta intestina che coinvolgerebbe i centri di potere: Boston, Londra e ovviamente Roma.
PROPRIETÀ DISTANTE L’assenza di Pallotta, alla lunga, sta destabilizzando la Roma. Il presidente fa sapere di essere infuriato (critiche all’allenatore le fece anche in pubblico, parlando però negli States). Ma si confronta più con Baldini che con gli altri dirigenti italiani, quelli che quotidianamente si occupano della gestione tecnico-organizzativa a Trigoria, dove vivono sotto pressione. L’arrabbiatura attuale del bostoniano non farebbe una piega se avesse chiesto ai suoi collaboratori, già dopo Natale, di mettere il silenziatore a Spalletti che, comunicando in proprio, ha dettato fino a pochi giorni fa le sue condizioni. Di solito avviene il contrario. Non qui, però. Pallotta, incaricando il dg Baldissoni e l’ad Gandini, avrebbe dovuto fermare il tecnico, ricordandogli il suo ruolo. Di campo. Oggi è tardi per farlo, perché la situazione, a 4 turni dalla fine del campionato, è deflagrata. E Monchi, appena arrivato, non può certo assumersi il compito di prenderla di petto. Nemmeno di dire a Totti quello che sarebbe spettato a Pallotta e da tempo: a fine maggio dirigente e non più calciatore (almeno in giallorosso).
CONFUSIONE TECNICA Spalletti, a forza di vedere fantasmi e ombre dentro e fuori lo spogliatoio, non si è curato dei nemici veri. Da affrontare in campo. Adesso il club, pur restando ufficialmente allineato e coperto, non gli perdona lo scadente rendimento nel nuovo anno. Le sbandate peggiori proprio nel 2017: i ko con la Sampdoria, il Lione, il Napoli e la Lazio (Coppa Italia e campionato). Non ha convinto né nella preparazione dei match e né nella serie di interventi in corsa. Lui e il suo staff, numerosissimo e ben remunerato, hanno steccato sempre negli appuntamenti cruciali, dando seguito alle scelte scellerate della prima parte della stagione, con i picchi nella gara di ritorno del play off con il Porto e nello scontro diretto con la Juve allo Stadium. La rosa, incompleta e male assortita, è l’alibi più scontato. Che, però, non ha mai sbandierato, da navigato aziendalista di facciata: in privato, a quanto pare, si sarebbe spesso lamentato dei mancati rinforzi di gennaio. Di sicuro, l’ha gestita male, usando sempre gli stessi giocatori, quei titolari che da tempo sono con la lingua di fuori. Tanto da non essere competitivo (cioè lottare, non per forza vincere, in campionato o nelle coppe) in nessun torneo.
FUGA DALLA SCONFITTA Oggi la presentazione del nuovo ds Monchi che, a prescindere dal piazzamento finale, dovrà ricostruire la Roma. Il 2° posto gli garantirebbe più serenità nella programmazione. Ma avrebbe preferito stare già al sicuro, per capire subito quali calciatori confermare. E, invece, sta assistendo alle mosse di altri club su alcuni giocatori (suoi e non): il Milan insiste per Kessie e Pellegrini; l’Inter, già interessata a Manolas, Ruediger e Strootman, tratta con De Rossi (biennale da 5 milioni a stagione) e con Nainggolan, entrambi disponibili a trasferirsi a Milano. Magari con Spalletti che, però, è la quarta scelta dietro Conte, Simeone e Sarri. Monchi, forte della sì di Emery nel caso in cui lo spagnolo fosse esonerato dal Psg, ha almeno il tecnico di domani. Non ancora la squadra, però. Da assemblare, con il taglio degli ingaggi, solo dopo il traguardo.
(Il Messaggero – U. Trani)
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