Federico Fazio e Lorenzo Insigne

(Corriere della Sera – G. Dotto) Da lupo incallito mi sento di somigliare a quei santi del Sud che s’illudono di volare e ogni tanto ci provano pure, si alzano da terra, prendono il volo, euforici come gabbiani in amore e poi, ogni volta, s’infrangono al suolo, o prato che sia, ammaccandosi di brutto e passando il resto dei giorni a leccarsi le ferite e a contare i giorni che restano tra sé e la prossima allucinazione. Il Napoli dell’Olimpico è l’ennesimo tonfo, il principio di realtà che ti richiama all’ordine, scortato da numeri non riscontrabili in nessun emisfero calciante. Nove pali in sette partite, quattordicesimo danno muscolare. Di là, un Napoli illeso e baciato dalle stelle, con quel Pepe Reina così pedante nello scartare a Roma il suo miracolo l’anno. Tutta qui la sconfitta dell’Olimpico? Non proprio. Quando la personalità dei giocatori non basta o quando si è più logori di quanto si sia forti di testa, ci vorrebbe il gioco. Quello non c’è. Di Francesco sta studiando e, nel frattempo, lo scudetto, lui sì, si sta involando.



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