Alla Lazio non trema nemmeno tanto il cuore, perché va sotto soltanto al 90’, a promozione in ghiaccio, così la nona finale di Coppa Italia diventa in fondo un fremito lunghissimo e gioioso. Il derby, di qualsiasi tipo, si riflette a lungo sulla passione quotidiana; questo ancor più perché è definitivo, esclude; una va avanti e l’altra scompare, non c’è più recupero, sorpasso, non ci sono classifiche da modellare. C’è soltanto un futuro da cambiare. Anche questa rimonta non riesce alla Roma e adesso ne rimane soltanto una, quella per lo scudetto, semplicemente la più difficile. Anche Luciano Spalletti è più lontano: un altro trofeo inghiottito dalla notte, altri discorsi di commiato che si ripeteranno.
La Lazio invece è spesso più matura dell’età di alcuni suoi protagonisti, allenatore compreso. Chiaro che la rete di Milinkovic, il migliore con Immobile, cambi il quadro della grande rimonta, però la Roma pareggia subito e il centro della doppia sfida diventa il primo scorcio della ripresa, quando i romanisti mettono lo sguardo sul patibolo, perché sono dissennati nel cercare le tre reti che mancherebbero.
Il derby seduce di nuovo la capitale, curve piene come ai bei tempi, urla e tuoni di entusiasmo. Ma anche ululati a Rüdiger (dalla sponda laziale) e Lukaku (dall’altra curva). La partita che non è mai come le altre, secondo obbligato luogo comune, talvolta è anche un tentativo di gemellaggio tra le squadre, inteso come favori fatti e ricambiati nella fase difensiva: perché la Lazio fa centro ai primi tiri nello specchio, con Milinkovic mentre Paredes guarda. E De Vrij è più generoso 5’ dopo l’1-0. Non solo sporca un docile cross di Rüdiger, ma il liscio è così preciso che El Shaarawy può sfruttarlo e battere al volo per il pari. Il Faraone ispira anche il 2-2 dell’egiziano vero, resta tra i più positivi. Dall’altra parte Milinkovic centra gol e assist – prima volta quest’anno -; Immobile arriva a 21 in stagione (12 nel 2017), più cinque reti con la Nazionale.
Inzaghi chiude l’ottimo disegno dell’andata non spostandosi da quelle idee: converge di nuovo sui tre centrali difensivi, cerca di attenuare la velocità esterna di Salah (doppietta) e El Shaarawy con Lukaku e Basta, mai fermi, mentre anche davanti ispessisce la protezione con Milinkovic e Lulic agganciati a Biglia. Ma Spalletti, che si agita come il collega, non resta ancorato al 4-2-3-1 tratteggiato in partenza e tenuto quando la Lazio costruisce da dietro, con Nainggolan a disturbare Biglia. La sistemazione diventa poi 4-1-2-3 con il possesso palla: Paredes resta basso, mentre Strootman si affianca a Naingo e gli esterni salgono con il centravanti con lo scopo di allargare la linea a cinque e cercare di infilarsi tra gli interni di Inzaghi. Nel primo tempo, con governo prevalentemente giallorosso, sono troppi i cross scontati dalla trequarti e solo sul primo Dzeko arriva in anticipo però manca la porta: la serata avrebbe avuto una chiave diversa.
(Gazzetta dello Sport)
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