Tifosi AS Roma Budapest

AS ROMA NEWS EUROPA LEAGUE BUDAPEST OLIMPICO – Finisce fra le lacrime. Ma non è gioia, è delusione. Grande, gigantesca. È Paulo Dybala, l’autore del gol del vantaggio a piangere in mezzo allo stadio di Budapest. Piange alla Puskas Arena e il “suo” Olimpico. Quasi per risarcirlo, per dirgli ti vogliamo bene. Poi la squadra va sotto la curva a Budapest e a Roma continuano ad applaudire, scrive La Gazzetta dello Sport.

No, cosi no, non può essere. Maledetti rigori, ancora loro. Come 39 anni fa. E pensare che era stato tutto così bello: la vigilia, l’attesa, l’inizio, Francesco Totti che “posta” la coreografia con il gigantesco “Figli della lupa”, una collezione fantastica di sorrisi prima di cominciare, tanti segni premonitori, la sensazione di una serata magica, gli inni giallorossi cantati a squarciagola. Fino al gol di Dybala, e chi se non lui. Tutto perfetto.

Una notte delle favole diventata però delle lacrime. C’era pure la storia di mezzo, la storia dei due stadi: Ferenc Puskas, a cui è intitolata l’Arena della capitale ungherese, segnò la prima doppietta del lungo romanzo dello stadio Olimpico nel 3-0 che la sua Nazionale rifilò all’Italia. Magari da lassù qualche parolina l’avrebbe potuta dire. Un “trattami bene la Roma”. E invece no. E invece ora c’è un altro pezzo di storia, tristemente molto più noto, che riempie di questa notte il sogno diventato incubo, i maledetti rigori di Roma-Liverpool.

No, così no, non può essere. Sulle strade di Budapest, e più tardi allo stadio, la supremazia numerica della tifoseria giallorossa si era fatta con il passare delle ore schiacciante. Cori, sciarpe e birre senza eccedere nei punti di ritrovo allestiti dalla Uefa, il Fan Festival di piazza degli Eroi (qui le due tifoserie si sono pure mischiate) e la Fan Zone esclusivamente romanista del City Park. Sul palco qui erano saliti anche gli ex Perrotta, Cassetti e Rizzitelli, che avevano lanciato l’ultimo «Roma Roma Roma», una specie di consegna del testimone passato ai giocatori di oggi.

Un grido travolgente, quasi volessero spingere fisicamente i ragazzi di Mourinho verso il successo. Il corteo dei tifosi, sorvegliatissimo dalla polizia ungherese, è stato molto vivace ma composto. L’unico momento di tensione è venuto per alcuni incidenti in cui sono rimasti feriti tre tifosi, tra cui uno spagnolo e uno svedese protagonista di una rissa nei pressi dello stadio con sette polacchi arrestati, probabilmente ultras dello Slask Wroclaw, squadra storicamente rivale del Siviglia.

No, così no, non può essere. Con un Olimpico che s’e riempito all’improvviso, proprio come fanno gli stadi spagnoli. Con quella prima inquadratura dei tifosi giallorossi di Budapest che ha prodotto il primo applauso con lo speaker a dire: «Questi sono i nostri!». E poi il primo boato alla zoomata su Mourinho, l’urlo spezzato all’occasionissima di Spinazzola, i silenzi pieni di speranza al momento della Var per l’intervento su Abraham che ha fatto gridare al rigore. E poi quel gol che sembrava aver risolto tutto e invece non aveva ancora risolto niente come diceva Mourinho con quel gesticolare del tipo: «Calma, non è successo niente».

No, così no, non può essere. Anche se a un certo punto si è capito che qualcosa stava cambiando. A fine primo tempo c’era stato il palo del Siviglia colpito da Rakitic, salutato in modo curiosamente diverso fra Roma (dov’è stato vissuto come un quasi gol per il pericolo scampato) e Budapest (dove invece la gente romanista se l’è presa con quel recupero interminabile).

Poi la ripresa con l’autogol di Mancini e quella sensazione crescente di disagio, come se a un certo punto la preoccupazione e l’incertezza si fossero mangiati piano piano tutto l’entusiasmo trionfale con cui era stata vissuta tutta la giornata. E con gli andalusi, anche sugli spalti, capaci di prendere coraggio e di provare a mettere in discussione pure la gara del tifo.

No, così non può essere. Devono averlo pensato pure i volti più noti del tifo giallorosso nello stadio ungherese – Edoardo Leo, Diego Bianchi, Antonello Venditti, Damiano dei Maneskin, Blanco, Noemi, Valerio Mastandrea – e lo sguardo del sindaco Roberto Gualtieri, anche lui nella trasferta che valeva una stagione. Che strano il calcio. In questa sua perfida capacità di trasformare la gioia in una delusione che ora imprigiona tutti gli sguardi e le parole. E che sarà difficile dimenticare anche per quel modo, la crudeltà dei calci di rigore, con cui tira giù dalla soffitta l’incubo di 39 anni fa.



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