C’è un vecchio adagio popolare che ricorda come per gli ottimisti è il fondo che è salito a toccarti e non il contrario. In questi giorni si può dire di tutto di Pallotta meno che abbia perso il suo proverbiale atteggiamento fiducioso.
I numeri però preoccupano. Il problema per Jim sarà convincere i soci che lo affiancano a parteciparvi, considerando la resistenza di questi ad immettere ulteriori capitali a fondo perduto, come dimostra l’ultima operazione finanziaria effettuata (prestito Neep).
Intanto le linee-guida dettate alla dirigenza di via Tolstoj sono già delineate da tempo: 1) Abbattimento del monte-ingaggi del 20% passando da 140 milioni a 115 2) Riduzione della rosa 3) Tetto ingaggi per i nuovi arrivati a 3 milioni 4) Risparmiare sul costo dei cartellini agendo in entrata con svincolati o diluendo in più anni gli acquisti, stile Ibanez 5) Guardare soprattutto al mercato estero che in virtù del decreto crescita rende più conveniente pagare lo stipendio 6) La cessione di «asset aziendali disponibili», ossia calciatori: in primis gli esuberi e poi alcuni elementi (Kluivert, Under, Cristante, Schick, Florenzi, Riccardi) che possano garantire plusvalenze. Il fine, oltre all’abbattimento dei costi, è salvare Zaniolo e Pellegrini.
A meno che a risolvere gran parte dei problemi di Pallotta e del club non sia Fonseca. Se il tecnico riuscisse a vincere l’Europa League riuscirebbe di colpo nella doppia impresa: centrare l’accesso diretto alla Champions (dunque garantendo 50-60 milioni) e far incassare un’altra ventina di milioni, tra i premi Uefa (13,5 milioni per la vincitrice) e la quota legata al market pool, quantificabile con esattezza solo a competizione conclusa (da calcolare sui 168 milioni totali). In virtù di questo quadro complessivo, Pallotta prende tempo.
(Il Messaggero)
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