NOTIZIE AS ROMA DZEKO – La storia del grande Predrag Pasic, l’ex giocatore bosniaco che anziché fuggire da Sarajevo vi aprì una scuola calcio per alleviare la vita quotidiana dei bambini, è stata già raccontata molte volte, anche da Eric Cantona nella sua splendida serie sugli eroi ribelli del calcio. Quello che ci interessa sapere oggi è che tra i ragazzi che si allenano a Skenderija c’è Edin Dzeko.
Nel ‘96, l’anno del ritorno alla vita della città pacificata, il suo talento viene notato dallo Zeljeznicar, e da lì parte la scalata. Ma il carattere di Edin si forgia prima, per esempio nel ‘93 quando la madre gli vieta una partita sul campo di Dobrinja – il quartiere dell’aeroporto – e quel pomeriggio una granata colpisce proprio quella festa di ragazzini, uccidendo 13 persone e ferendone 133. Oggi Dzeko non parla più volentieri della sua infanzia, ma assicura di ricordarsela tutta, lutto per lutto, paura per paura.
È per questo che il suo calcio ha uno stile leggero, come se non fosse opportuno soffrire oltremodo per una partita, ma qualsiasi vittoria arrivi la sua felicità non sembra mai totale, priva di ombre. Forse l’inconscio gronda ancora angoscia, perché Edin sarà per sempre innanzitutto un sopravvissuto. Quattordici anni dopo, novembre 2009, Dzeko è una pertica che si muove agile sul campo dello stadio di Sarajevo. L’eleganza è innata, ed è quella ad aver colpito Adriano Galliani, il primo a muoversi su di lui quando gioca nel Wolfsburg; ma è un Milan in cui Silvio Berlusconi ha iniziato a tirare i remi in barca, e Dzeko è già un investimento superiore alle sue forze.
In quei giorni di novembre la Bosnia sogna la grande impresa nello spareggio col Portogallo: chi vince va al Mondiale, l’andata a Lisbona è finita 1-0, ribaltarla nel catino di Zenica non sembra impossibile. Di lì a meno di due anni Edin farà parte dello shopping milionario del Manchester City. La nazionale della Bosnia fallisce lo spareggio e manca anche quello con la Francia per l’Europeo 2012 malgrado un portentoso gol del suo centravanti allo Stade de France.
Nel ranking è un Paese troppo giovane, i secondi posti nel girone gli garantiscono lo spareggio ma partendo sempre dall’urna più debole. Occorre qualificarsi direttamente, vincendo il gruppo, e quando la fortuna le dà finalmente una mano proponendole un gruppo abbordabile, la Bosnia lo fa suo al fotofinish sulla Grecia guadagnandosi uno storico passaporto per Brasile 2014. Nel frattempo a Dzeko è riuscito il colpo più incredibile della sua carriera, la Premier vinta col City nei minuti di recupero dell’ultima giornata. Comunque vada a finire la sua storia con la Roma, Dzeko si è già guadagnato un posto d’onore nella galleria dei suoi grandi attaccanti: basti pensare alla semifinale di Champions della scorsa stagione, secondo miglior risultato di sempre dopo la finale col Liverpool del 1984, quando il centravanti era Roberto Pruzzo.
A volte il bosniaco comunica una sensazione di impazienza, per esempio quando è attorniato da troppi ragazzini che, per quanto talentuosi, decifrano i suoi movimenti con quell’attimo di ritardo che nel calcio è tutto. L’impazienza è dovuta al fatto che Dzeko sente il tempo agonistico sgocciolargli via e vuole vincere ancora: non considera sufficienti un campionato col Wolfsburg e due col City. La stessa scelta di rifiutare il trasferimento al Chelsea lo scorso gennaio, al di là della riluttanza familiare a lasciare Roma, si basò su questo calcolo: faccio prima a togliermi qualche grossa soddisfazione qui, e da protagonista, che non a Londra, in un ambiente all’epoca impossibile.
Se guardiamo alla primavera di Champions che ne è seguita, non era una scelta campata in aria; e anche quest’anno, considerato che il pur rifiorito Chelsea è costretto al purgatorio dell’Europa League, il cammino europeo della Roma è un’altra cosa: pressoché blindata la promozione agli ottavi, una vittoria stasera contro il Real varrebbe praticamente il primo posto e, dunque, l’urna agevolata. Non sarà semplice, ma Edin Dzeko vive per queste serate. Qualche mese fa quello che è considerato il secondo gol più bello della storia – Van Basten alla Russia nella finale di Euro ‘88 – ha “compiuto” 30 anni, e un po’ tutti ci siamo chiesti quale attaccante di oggi possa in qualche modo ricordare la sublime eleganza del cigno di Utrecht.
Beh, dopo l’ovvia sequela di «no, impossibile», a molti è venuto in mente un nome. Lo stesso nome. Pensate al gol al volo al Chelsea nel girone di Champions dell’anno scorso. Pensate al gol al volo al Torino di quest’anno, all’ultimo minuto. Okay, non ci si riempie la pancia con i gol di Dzeko. Ma gli occhi sì.
(Gazzetta dello Sport – P. Condò)
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