Mohamed Salah

(La Repubblica – M. Crosetti) Il passato è una bestia, il passato è cattivo e ha le unghie lunghe. La Roma se le ritrova addosso di colpo, dentro la carne lacerata da “Mo Sàla” come lo chiamano qui, senza accenti, arrotondando ogni spigolo. È lui il peggior incubo atteso e puntualissimo, un meraviglioso calciatore che in questo suo splendente momento palleggia anche meglio di Messi e galoppa nel vento come Cristiano Ronaldo, segnando più di loro: già 43 gol. La Roma lo guarda, lo subisce a lungo e pensa: ma questo qui era così forte, da noi? Possibile? Possibile sì: due gol e due assist in una semifinale di Champions ( 5- 2, pazzesco) che per la Roma è stata una parziale umiliazione, uno shock paragonabile a quel 7- 1 di Manchester, 11 anni fa. Ma siccome il calcio è incredibile paradosso, i gol trovati nel finale con Dzeko e Perotti ( rigore) tengono in vita l’ipotesi estrema: con un 3- 0 stile Barcellona si va in finale. Ma quanti rimpianti per quell’avvio da incubo e per avere venduto un campione così. Il portatore di devastazione e lacrime è proprio Mohamed Salah che corre dentro i colori lucidi di pioggia, quasi acrilici, saturi di quest’aria inglese. L’ululato che lo spinge è immane, e la gente di Anfield continuerà a cantare persino al bar, persino al gabinetto dove con una mano i maschi fanno quello che devono fare e con l’altra roteano le sciarpe rosse, lo giuriamo, mai vista una cosa così. “ Mo Sàla” spappola la Roma in 9’, gli ultimi del primo tempo, con un sinistro disegnato che picchia sotto la traversa e poi con una palombella accarezzata, poco meno di un cucchiaio, diremmo un cucchiaino. Lo stadio grida la canzone speciale per lui che ringrazia mettendosi in ginocchio, a mani giunte verso l’alto. Un delirio indimenticabile. Eppure la Roma aveva provato ad essere sorniona, sistemandosi attenta su un prato di smeraldo, pettinato fino all’ultimo da solerti inservienti come se fosse la chioma di un bimbo. Per mezz’ora aveva tenuto per bene il campo, addirittura centrando la traversa con Kolarov che prima tira e poi ne parliamo. Finché il Liverpool non ha smanettato ed è stato il panico. Oltre alle due reti dell’egiziano una traversa di Lovren, un gol annullato per fuorigioco a Mané che ne sbaglia un altro ciclopico e un paio di parate salvavita di Alisson. Sono minuti terribili che l’intervallo viene a placare, con il forte sospetto che torneranno più cattivi che mai. Difatti l’angoscia non si placa, sembra di stare nel racconto di uno Stephen King che abbia dormito male e non abbia digerito, e poi si sia messo a scrivere. I rossi sono una specie di fiume color sangue che esonda da tutte le parti e si abbatte sulla Roma in forma di terzo, quarto e quinto gol: stavolta “Mo Sàla” fa l’ispiratore e s’inventa i due assist perfetti per Mané e Firmino, i due compagni d’attacco che frullano una difesa giallorossa inguardabile, improponibile, con Manolas che dev’essere ancora all’Olimpico che corre dopo il gol al Barcellona. La quinta rete si manifesta senza Salah ed è una notizia, stavolta Firmino fa tutto da solo, gli basta la fronte spaziosa. Poi, in extremis, ecco Dzeko e il rigore di Perotti: ora servirà un altro 3- 0 anche se non è sembrata una semifinale di Champions, semmai una sfida tra squadre di categorie diverse. La Roma si è persa al primo incrocio del labirinto e ritrovata solo nel finale, contro un Salah da Pallone d’Oro. Per lei, orfana e maltrattata, il pallone è grigio.



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