Henrikh Mkhitaryan

Ripartire a 33 anni. Mettersi in discussione, cambiare ruolo e anche il modo di stare in campo. Può riuscirci soltanto un grande giocatore. E Mkhitaryan lo è. Una rinascita, quella dell’armeno, targata Mourinho. Un rapporto tra tecnico e calciatore fatto di alti e bassi. Non solo alla Roma, scrive Il Messaggero.

Perché se Miki è l’uomo dell’ultimo successo dello Special, in finale (siglando il gol del 2-0) contro l’Ajax nel 2017, è anche quello di cui José si è liberato pochi mesi dopo, lasciando che si trasferisse all’Arsenal senza battere ciglio. Un sali e scendi umorale che si è ripetuto quest’anno: a novembre, l’ex Gunners sembrava fuori dal progetto, chiuso nella morsa di compiti difensivi nel 4-2-3-1 che ne limitavano fantasia ed estro.

L’agente Raiola, aveva già iniziato a progettare la fuga: «Via a gennaio? Chiedete alla Roma…». Poi qualcosa è cambiato. Tatticamente e nei rapporti personali. E oggi, nel 3-5-2, non c’è Roma senza Mkhitaryan, trasformatosi in play basso perché «è l’unico in questa rosa che ha la qualità per farlo», ipse dixit. Magie e intuizioni del mercato «fai da te» di José, capace d’inventare l’armeno in un ruolo che non aveva mai ricoperto in carriera e Zalewski (che oggi partirà con la squadra) a tutta fascia.

Miki, uomo intelligente, lo ha capito. E si è messo subito a disposizione. Anche snaturandosi. Basta vederlo giocare: regista, rifinitore, quando serve mediano. Dai chilometri percorsi (la media è di 10.525 a partita, secondo soltanto a Cristante e Pellegrini) alla qualità dei palloni smistati. Ma se non fosse ancora sufficiente, non resta che dare un’occhiata ai cartellini. Nella passata stagione in 34 gare di campionato ne aveva presi due, di cui uno per proteste. Ora, in 26 partite, siamo arrivati a 3 gialli e un rosso. A dimostrazione che alla metamorfosi tecnica si è aggiunta anche quella caratteriale.

Mkhitaryan non si è certo dimenticato come si segna. Non potrebbe essere altrimenti visto che negli ultimi 9 anni è tra i quattro centrocampisti che hanno superato i 60 gol e fornito 60 assist in Europa. Insieme a lui, gente del calibro di De Bruyne, Di Maria e Payet. Domenica ha poi tagliato il traguardo delle 250 partite nei massimi campionati europei. Ha vinto sia in Germania che Inghilterra (senza considerare l’Ucraina). Gli manca l’Italia. E non è detto che questa stagione, dopo aver lasciato la Nazionale, sia la sua ultima chance per riuscirci.

A giugno gli scade il contratto ma spiragli per proseguire insieme non mancano. Roma e la Roma, infatti, sono diventate la sua seconda casa. Dentro e fuori dal campo. Ne è dimostrazione la festa organizzata lunedì per il figlio Hamlet. Il bambino ha compiuto due anni e nella fattoria a Ostia Antica che organizza eventi di questo tipo, erano presenti pressoché tutti i componenti della squadra con figli al seguito.

L’idea, nemmeno troppo sopita sino a qualche mese fa, era quella di chiudere l’avventura in giallorosso e trasferirsi in Russia. Lo Spartak Mosca ma soprattutto il Krasnodar (che a dicembre gli ha formulato una proposta biennale da calciatore, assicurandogli un futuro come direttore sportivo) si erano fatti avanti.

Ora però la rinascita in giallorosso ma soprattutto il conflitto scatenato da Putin con l’Ucraina ha fatto cadere la possibilità. Motivi politici che già tre anni fa (legati in quel caso alle tensioni tra Armenia e Azerbaijan) non gli avevano permesso di disputare la finale di Europa League a Baku contro il Chelsea, quando vestiva la maglia dell’Arsenal. Adesso Miki punta Tirana. Il 25 maggio all’Arena Kombëtare vuole esserci. La Conference League è un obiettivo. Anche perché di «tituli» pure Miki se ne intende. Non sarà come lo Special (25) ma in carriera è già a quota 19. Il 20° è lontano 7 partite. Primo step, il Vitesse.



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