AS ROMA NEWS FRIEDKIN – In questo giorno di festa giallorossa, in cui tutto sembra cannibalizzato dalla figura di José Mourinho, ci piace ricordare il “lato oscuro” di un progetto nato il 6 agosto 2020, quando la famiglia Friedkin ha acquistato la Roma. Certo, l’arrivo dello Special One ha permesso ai media di tutto il mondo di focalizzarsi su Trigoria, ma il lavoro che era stato avviato – e che è proseguito in parallelo alle idee dell’allenatore portoghese – ha messo le basi a quel sogno chiamato Conference League, scrive La Gazzetta dello Sport.
Sul fronte del denaro, si sa che il «Friedkin Group» – che ieri si è complimentato pubblicamente con squadra e staff via social (dopo che il presidente Dan lo aveva fatto in forma diretta) – ha investito finora 548,8 milioni, di cui 199 milioni relativi all’acquisizione della società e 349,8 come versamenti suddivisi quasi su base mensile, che andranno a comporre l’aumento di capitale da 460 milioni pronto a chiudersi a dicembre (o forse prima).
Ma non finirà qui, perché il prossimo anno se ne varerà un altro, visto che i nuovi proprietaria avevano ereditato una situazione debitoria pesante. Ma come è stata investita questa somma? Piuttosto bene, verrebbe da dire, e non solo perché dopo 31 anni la Roma tornerà a giocare una finale europea.
Ad esempio, la ristrutturazione di Trigoria, a tutti i livelli Ci piace evidenziare sia il lavoro di rizollatura dei campi portata avanti, sia l’opera (oscura) condotta sul fronte della prevenzione e del recupero degli infortunati. Se quest’anno, nel momento topico della stagione, Mourinho ha avuto a disposizione praticamente tutta la rosa, fatta eccezione al ritorno col Leicester per Mkhitaryan, è segno che ciò le azioni compiute negli scorsi anni non erano state a volte all’altezza della situazione. La svolta, insomma, si è vista.
Non ci soffermiamo neppure sull’impulso dato nell’ultimo anno e mezzo a «Roma Cares» e alle iniziative benefiche che hanno contribuito a riavvicinare la città al club, così come la avveduta politica dei biglietti, che stanno portando a un “tutto esaurito” dopo l’altro. Se lo Special One è riuscito a tornare a brillare è stato anche perché la rosa che ha avuto a disposizione non è stata poi così modesta come a un certo si ventilava a metà stagione.
Pensateci, se i Friedkin hanno dovuto imparare a conoscere Roma in circa diciassette mesi, Tiago Pinto che ha avuto a disposizione addirittura cinque di meno, lavorando in un ambiente come quello del mercato in cui, all’inizio, da alcuni addetti ai lavori era considerato un intruso. Tutto questo, avendo a disposizione un portafoglio non certo illimitato e l’indicazione vincolante di ridurre le spese per le commissioni al dieci per cento.
Eppure la rosa costruita non sta deludendo, anche se alcuni – da Vina a Shomurodov – forse avranno bisogno di più tempo per emergere, mentre certe scommesse non riuscite (Maitland-Niles) potranno essere rimandate alla base senza problemi. Ma la sfera tecnica non si esaurisce solo con la prima squadra.
Pensiamo al calcio femminile, a cui la famiglia Friedkin (in stile molto Usa) tiene parecchio. Raddoppiando gli investimenti, la Roma donne è a un punto da una storica qualificazione alla Champions League, mentre il 22 maggio giocherà la finale di Coppa Italia contro la Juventus. Basta così? Certo che no. Anche il settore giovanile, la cui ristrutturazione era cominciata la scorso anno, ricomincia a brillare, come dimostra la Primavera, già alle semifinali scudetto. Merito, forse, anche dei cambiamenti di filosofia che sono stati apportati: dagli ingaggi contenuti a quel fiore all’occhiello che può considerarsi il liceo di Trigoria, dove i fuori sede possono crescere anche fuori dal campo. Impressioni? Il futuro della Roma è giù cominciato. E non solo nel segno di Mourinho.
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