Si scrive playoff, si legge bivio. La Champions League di agosto è un confine labile tra felicità e disperazione, tra sogno e incubo. Non mette in palio solo la gloria sportiva ma anche il presupposto base di suddetta gloria: il denaro. Se entri nel salone delle 32 squadre del tabellone principale conti qualcosa e puoi investire di conseguenza. Se resti fuori, respinto dall’esame preliminare, sei costretto a un ridimensionamento delle ambizioni e delle spese.
LA SITUAZIONE – Vale per quasi tutti i club, non solo la Roma che per la prima volta della sua storia partecipa a questo delicato test d’ingresso. Ok, ci sono pure le eccezioni tipo il Manchester City di Guardiola che in teoria potrebbe anche fare a meno di giocare la Champions, visto il potenziale economico che lo sorregge. Ma un’esclusione dal calcio che conta verrebbe vissuta malissimo anche lassù, dove osano gli emiri. La Roma però avrà una difficoltà in più rispetto ai ricchi concorrenti: con ogni probabilità al sorteggio del 5 agosto non si presenterà come testa di serie e quindi rischierà una sfida tosta. Oltre al City, l’avversario più temibile, ci sono in ballo squadre come Porto, Villarreal e, se passano il precedente turno, Shakhtar Donetsk e Ajax.
IL PRECEDENTE – Il dubbio che viene allora è: meglio giocare al rischiatutto, puntando le fiches sul passaggio del turno e quindi con un’adeguata preparazione della rosa sul mercato? Oppure è più opportuno limitare le uscite prima del playoff, come sta facendo la Roma, per poi eventualmente alzare il tiro negli ultimi giorni di agosto, a campionati già iniziati? La storia italiana dice che la seconda strada non produce risultati apprezzabili: lo scorso anno ad esempio la Lazio ha deciso di non rinforzarsi sensibilmente, aspettando il crocevia di Ferragosto. Ed è stata eliminata dal Bayer Leverkusen nel playoff, nonostante la bella vittoria nella partita d’andata. La stessa strategia era stata applicata dal Napoli nel 2014, tra le tante perplessità della tifoseria: ne approfittò l’Athletic Bilbao per qualificarsi a spese della squadra che schierava il più desiderato centravanti del mondo, Gonzalo Higuain.
STATISTICA – Destino amaro – strada sbarrata – è toccato in precedenza all’Udinese (per due estati consecutive: nel 2011 venne eliminata dall’Arsenal, nel 2012 ai rigori dai portoghesi del Braga) e alla Sampdoria, stroncata nelle proprie velleità dal Werder Brema nel preliminare 2010. Anche in questi tre casi, i dirigenti delle società avevano ritenuto che non fosse saggio avventurarsi in acquisti impegnativi, per poi trovarsi magari nella necessità di vendere i pezzi migliori a poche ore dalla fine del mercato. A preoccupare la Roma però è anche la storia recente: negli ultimi sei anni, soltanto un’italiana ha passato indenne la tagliola del preliminare di Champions. E’ successo al Milan nel 2013: 1-1 e 3-0 contro il Psv Eindhoven, a sua volta depauperato dalle cessioni di Strootman e Mertens.
IDEA – La Roma, rispetto alle omologhe del passato, deve d’altra parte seguire con rigidità le imposizioni dell’Uefa, con la quale ha già patteggiato una multa e altre restrizioni per le infrazioni ai paletti del fair play finanziario. Difficilmente sarebbe in grado, in questo momento, di dimostrare un percorso virtuoso se spendesse molti soldi per gli acquisti in previsione di introiti che non sono garantiti. L’altro lato della medaglia, più piacevole per i tifosi, è che l’eventuale retrocessione in Europa League sarebbe assimilata con meno traumi, come da piano industriale condiviso dal Consiglio d’amministrazione. Non è scontata la cessione di un big (Manolas, a questo punto) anche nell’ipotesi peggiore, perché dallo scorso anno l’Uefa ha inserito un “paracadute”: il 10 per cento del market pool di ogni nazione spetta proprio alla società eliminata dal preliminare di Champions. Per l’Italia si tratta di una decina di milioni, che alla Roma farebbero comunque comodo.
(Corriere dello Sport – R. Maida)
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