Tutto secondo copione. Walter Sabatini ha atteso la sosta per gli impegni delle nazionali per annunciare la rescissione del contratto che lo legava alla Roma sino al 30 giugno. Le parole concilianti del presidente Pallotta («Vorrei ringraziare Walter per quello che ha fatto per la Roma e per tutto quello che ho imparato da lui. Smetti di fumare per favore!») alzano una foglia di fico che nasconde a fatica le divergenze emerse nell’ultimo anno tra i due che avevano portato Sabatini, già a gennaio, ad annunciare l’addio per poi ripensarci. La direzione sportiva è stata affidata a Massara.

Se ne va, come era già accaduto alla Lazio e al Palermo, spaccando a metà una città tra chi lo reputa il re indiscusso del mercato ed altri che invece gli imputano clamorosi errori. Come spesso capita nella vita, la verità è nel mezzo. Sul talento e la conoscenza dei calciatori si può dire poco. Anzi nulla. Sabatini è un ds che se lo chiami alle tre di notte lo trovi sempre sveglio, magari mentre assiste ad una partita del campionato cileno per studiare un giovane che gli è stato segnalato da uno dei suoi osservatori. Inutile fare l’elenco dei talenti portati a Roma e dei calciatori che invece si sono rivelati degli autentici flop in questi anni. Anche perché chi lo ritiene un genio continuerà a farlo come chi non gli perdonerà nulla. Di certo nella sua esperienza alla Roma è riuscito ad invertire quanto si diceva sul suo conto quando lavorava alla Lazio: «È bravo a trovare i giovani di valore ma incapace a vendere». Ricavare però, tra gli altri, 9 e 7 milioni da giocatori modesti come Dodò e Bradley, realizzare 27,4 milioni di plusvalenza con Marquinhos, 15,2 con Lamela e oltre 20 per Pjanic sono operazioni che smentiscono quel giudizio. Più opinabile il costo di qualche acquisto: Iturbe (26,1 comprese le commissioni), Doumbia (14,4+1,5), Juan Jesus (2+8), Kjaer (3,5 di prestito) o Uçan (4,5 di prestito).

Quello che non è discutibile invece è la difficoltà di Sabatini a costruire squadre vincenti. Nelle stagioni nelle quali è andato più vicino al successo in campionato, ha comunque terminato a 17 punti dalla prima in classifica. E quest’anno il gruppo da lui costruito, è già a -5 dalla Juventus con appena 7 gare disputate dopo esser uscito nel playoff di Champions. Il giorno della sua presentazione (giugno 2011) disse: «Se volevate i campioni, non sarei qui». Era una Roma diversa, che pensava di poter inaugurare un discorso sui giovani che il fiasco di Luis Enrique non ha reso possibile. Dopo il 26 maggio 2013 ha cambiato rotta cercando un mix tra giovani e esperti che però ha sempre provocato rifondazioni estive. Senza considerare i riscatti, i ritorni dai prestiti e la miriade di giovane transitata per Trigoria, 15 sono stati gli acquisti effettuati il primo anno, 12 nel secondo, 15 nel terzo, 16 nel quarto, 13 nel quinto e 7 quest’anno, dove però ha operato soltanto in estate. Il che ha provocato inevitabilmente rivoluzioni nell’undici titolare che di media è cambiato ogni volta per 5-6 undicesimi. Uno dei suoi amici più cari racconta che «dipendesse da Walter comprerebbe soltanto calciatori dal 7 all’11». Tuttavia nella Roma i colpi con la C maiuscola li ha fatti con i difensori, utili spesso e volentieri più per le plusvalenze che sul campo, dove comunque risultavano tra i migliori.

Lascia il giorno dove emerge a distanza la rivalità tra Szczesny («Sono il titolare, mi avete visto mai in panchina in campionato?») e Alisson («Questa alternanza non è un bene») e il club pubblica il bilancio che certifica il versamento di Pallotta per l’esercizio corrente di 57,2 milioni di euro e il sensibile miglioramento dei conti (rosso di 14 milioni, rispetto ai 41,2 del passato esercizio) anche grazie alle entrate dell’ultima Champions (77 milioni) che nel bilancio del prossimo giugno non figureranno. Problemi però che non lo riguarderanno più.

(Il Messaggero – S. Carina)



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