AS ROMA NEWS INTER DYBALA – C’è una foto che vale più di mille parole per riassumere il momento della Roma. Domenica sera, minuto 15 della ripresa: Zalewski si fa togliere il pallone da Frattesi che parte in contropiede. Angeliño arretra, con un occhio a Lautaro in mezzo, cercando compagni che lo aiutino. Pellegrini e Celik corrono alla disperata, a tal punto che sul cross del nazionale azzurro, il turco rinvierà in modo scomposto regalando praticamente l’assist all’argentino, scrive Il Messaggero.

Ma più di tutti corre Dybala. Che supera i due di slancio e prova, invano, a contrastare il tiro del connazionale per poi, vedendo la palla in rete, crollare a terra, sfinito e sconfortato. Sì, avete letto bene: Dybala. Uno che ti aspetti giostrare negli ultimi 20 metri dell’area avversaria, non fare rincorse di 80 sull’avversario di turno: nel primo tempo dietro Bastoni, nella ripresa Dimarco.

Uno sforzo che se da un lato per Juric è divenuto il manifesto della disponibilità del gruppo nei suoi confronti, dall’altro è diventato argomento di discussione in città (e non solo). Premesso che difficilmente rivedremo Dybala e la Roma con il 4-2-3-1 e tutto ciò che ne consegue a livello di fase difensiva, l’attenzione si sposta sul tecnico croato.

Inutile girarci intorno: è bastata una sconfitta contro i campioni d’Italia per tornare a far aleggiare il fantasma di De Rossi. Che poi a Trigoria off record continuino ad assicurare come all’orizzonte non venga minimamente presa in considerazione questa possibilità, paradossalmente poco importa.

Quando l’onda popolare parte, è come il fluido gelatinoso del film Blob: si porta via tutto e tutti. Così anche le rassicurazioni pre-gara dell’altra sera di Ghisolfi («Juric sta facendo bene, ha bisogno di tempo») rischiano alla fine di non attecchire. Il motivo vien da sé: il ds è lo stesso che nel giorno del forum a Trigoria con alcune testate giornalistiche (1 ottobre), provando a fare un complimento al tecnico, asserì come la scelta fosse ricaduta su di lui perché aveva accettato di firmare fino a giugno.

Delle due l’una: c’è un progetto o si naviga a vista? È proprio questa sensazione di precarietà, che si accompagna a risultati che dopo lo slancio iniziale del cambio di allenatore stanno tornando nella normalità travestita da mediocrità (la Roma è malinconicamente a metà in classifica, avendo avuto un calendario non certo proibitivo e segna con il contagocce: 8 reti in 8 gare, quante quelle di Retegui), a far sì che questa settimana rappresenti già un crocevia per Juric. Che in questa situazione, va ribadito, è il meno responsabile.

Ha avuto la chance della vita, se la sta giocando. Prima andando incontro alla squadra a livello tattico e difendendola all’esterno anche con il rischio di passare per una sorta di Alice nel paese nelle meraviglie («La Roma è un Paradiso», «Ho visto miglioramenti impressionanti», «Non ho visto differenze tra Roma e Inter») e ora provando (come nel caso di Dybala l’altra sera) a impartirle alcuni dettami tattici (marcature a uomo a tutto campo) che hanno sempre contraddistinto il suo modo di vedere il calcio. Il problema è altrove. Ed è in una rosa costruita male nonostante i 120 milioni spesi, in «sette esterni» (cit.) che non ne fanno uno che possa fare la differenza, nella mancanza di un vice-Dovbyk, in tanti calciatori doppioni uno dell’altro, in una squadra costruita per giocare un calcio fatto di possesso-palla e che ora ha un allenatore che fa delle ripartenze, della marcatura asfissiante e del gioco sugli esterni la sua stella polare.

Difficile capire come se ne possa uscire. Anche perché i Friedkin continuano nel loro mutismo non dispensando nemmeno segnali (nomine di nuovi dirigenti) che potrebbero tranquillizzare piazza e squadra sul loro impegno futuro. Figuriamoci quindi se Juric può in questa situazione, dove nessuno crede più a nessuno, sentirsi protetto. Deve pensarci da solo con la consapevolezza che se riuscirà a vincere contro la Dinamo Kiev giovedì in Europa League e domenica a Firenze, la spada di Damocle sarà soltanto riposta provvisoriamente nel cassetto. Il tempo di pareggiare nuovamente una gara o perderne un’altra e tornerà in discussione. Con il fantasma di Daniele, costantemente alle sue spalle.



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