(La Repubblica – M. Pinci) Mentre salutava l’amico Di Vaio, Francesco Totti non poteva far finta di non essere deluso. «Due punti buttati»: lo pensa anche lui, come tutti a Roma. Nelle parole del direttore sportivo Monchi, uno che lo spogliatoio lo vive, se ne trovava il presagio funesto già prima della partita: «Non dobbiamo sbagliare, diamo priorità al Bologna», sibilava ieri mattina aspettando un incontro da cui, poco dopo, la sua Roma sarebbe uscita inchiodata sull’1-1. A Roma da due settimane non si parlava che del gala di mercoledì a casa Messi. E forse ci pensava pure Di Francesco, se per l’appuntamento contro il Bologna del figlio Federico ha deciso di lasciare a riposo Dzeko per concedere a Schick l’ennesima prova d’appello. Il problema è che il risultato non condanna solo la scelta dell’allenatore, ammaliato dalle luci di Barcellona. Ma pure l’attaccante, a cui si fatica a ritagliare un abito adatto in questa Roma. L’allenatore aveva provato a convincerlo a giocare da attaccante esterno, sconfitto dalla sua testardaggine di accentrarsi per pestare i piedi a Dzeko. Poi ne ha assecondato la voglia di fare il centravanti: una volta, due, tre.
A Bologna, il quarto tentativo rischia di somigliare a una sentenza: anche lì in mezzo Schick non funziona. La consapevolezza deve averla avuta pure lui quando Strootman gli ha platealmente indicato che movimento fare su un pallone cui poteva dare una sorte migliore. I denti delle rotelle del ceco e della squadra non ingranano: era successo altre volte, Bologna ha solo alimentato una volta di più il pallido “zero” alla voce gol segnati in campionato. Anche davanti a un portiere, il ventiseienne Santurro, che fino a ieri aveva giocato solo in Serie C. Di Francesco sarà costretto quindi a fare i conti con una situazione paradossale: la bocciatura di Schick e le fatiche di Defrel – patrimonio tecnico per cui in estate la Roma s’è impegnata a pagare qualcosa come 60 milioni – non consentono di poter fare a meno di Dzeko. Anche ieri: il quarto gol del bosniaco in 4 gare giocate a marzo, dopo quelli indispensabili per battere Napoli e Shakhtar, è stato forse l’unico vero istante di concretezza offerto dalla Roma. «Ma è troppo facile dire ora che sono insostituibile, la verità è che ero stanco dopo le due partite in nazionale, e il mister lo sapeva», l’alibi che Dzeko ha concesso al suo allenatore.
In realtà, come in quei filmati in cui l’aspettativa supera di gran lunga una realtà deludente, la Roma deve aver preparato la partita pensando che il Bologna fosse una squadra “in vacanza”, come cantavano in un fischiatissimo playback gli Stato Sociale ieri pomeriggio sul prato del Dall’Ara. La sorte l’ha ripagata con il pari e l’infortunio di Nainggolan, che da ieri prega i medici di rimetterlo in piedi per mercoledì dopo aver abbandonato la Roma per un risentimento al flessore figlio di un colpo subito. Il risultato è che a 24 ore dalla partenza per la Spagna la Roma rischia di non avere né il belga né Ünder. Ma soprattutto che la zona Champions – apparentemente blindata – è di nuovo in bilico: l’Inter è in scia, e con una partita in più da giocare. La Lazio pure, e al derby mancano giusto due settimane: per fortuna di Di Francesco, il destino delle gare col Barcellona a quel punto sarà già un ricordo: chissà quanto piacevole.
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