Se non si rischiasse di calpestare capisaldi della democrazia come la volontà popolare, se non ci fossero in ballo investimenti per miliardi di euro e posti di lavoro per migliaia di persone, se il grande tema di tutta questa vicenda non fosse l’idea di sviluppo della capitale d’Italia, sarebbe il caso di citare, a proposito dell’ormai chiacchieratissimo stadio della Roma che dovrebbe sorgere in zona Tor di Valle, il sempre attuale aforisma di Flaiano: la situazione è grave ma non seria. Con questo spirito, si dovrebbe sorridere di fronte alla pioggia di reazioni provocata dalla felice campagna del #famostostadio, impreziosita da un insolito invito della sindaca Raggi a Totti («Ti aspettiamo in Campidoglio per parlarne») e da un intervento in tackle dell’ex premier Renzi («E famolo! Non si può dire di no a tutto, così si blocca il futuro»). Fino al divertente tweet di Marcello De Vito, presidente pentastellato del Consiglio comunale: «Non te preoccupà Capitano: #famostostadio e #famolobene. Con #ASRoma lavoriamo a progetto innovativo».
Spiace dirlo, ma non si può che sorridere amaramente di un’amministrazione che a meno di un mese dalla scadenza dei termini per l’approvazione definitiva del progetto, non ha ancora espresso una posizione univoca. Un giorno sì, il giorno dopo no; sì con meno cubature, sì ma solo allo stadio, no e basta; prima la dichiarazione tranchant dell’assessore Berdini, ferocemente contrario, poi il parziale dietrofront di un altro membro di Giunta, o della stessa sindaca; all’ora dell’aperitivo l’invio di un documento ufficiale che taglia le gambe al dossier, dopo cena la rassicurazione del Campidoglio che «stiamo trattando, ci incontreremo, lavoriamo per migliorarlo».
Il 3 marzo è dietro l’angolo, come anche ieri ha ricordato il Governatore Zingaretti: «Se il Comune ha cambiato idea, produca nuovi atti nei prossimi giorni». Eppure, ancora oggi aspettiamo l’esito dell’ennesimo incontro tra amministrazione e soggetti proponenti, quando invece a questo punto dovremmo discutere solo della variante al piano regolatore, che deve essere scritta, presentata in Giunta e approvata dal Consiglio, senza la quale la Conferenza non potrà che concludersi con un nulla di fatto, magari aprendo la strada ad un possibile intervento del Consiglio dei ministri. Il continuo rimando al «rispetto delle regole», come ha ricordato ieri la Raggi, questo davvero fuori luogo. Perché tutto si può dire di questo progetto, non che non sia stato fatto secondo tutti i crismi previsti dai tre commi della legge di Stabilità del 2013, che per brevità chiamiamo legge sugli stadi. O che non preveda quelle opere pubbliche che il costruttore si è impegnato a sostenere perché di un progetto privato ne benefici anche il pubblico.
(Gazzetta dello Sport)
FOTO: Credits by Shutterstock.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA