NOTIZIE AS ROMA MONCHI – Lasciando il Bernabeu con uno sguardo che raccontava il risultato anche a chi non lo conoscesse, il direttore spagnolo Monchi si confessava a un cronista spagnolo: «Dobbiamo ancora assimilare il gioco, piano piano». Non c’è modo migliore per raccontarla, la Roma. Che a 14 mesi dall’avvio del programma tecnico non sembra una squadra in costruzione: lo è. La semifinale di un anno fa poteva essere il punto di partenza per trovare una nuova dimensione, ma a Trigoria hanno scelto una strada diversa: 19 calciatori movimentati in una sola estate, 12 acquisti e 7 cessioni.
L’altra faccia del “player trading” ( ossia quel continuo comprare bene e vendere meglio), che ha consentito a Pallotta di sostenere i costi di una squadra competitiva, è che ogni anno si riparte da zero. Chi ha vissuto Trigoria in queste settimane racconta che tutto sembra come 12 mesi fa. Quando Di Francesco si lamentava – a ragione – di una squadra costruita solo all’ultimo minuto. Quest’anno al contrario gli acquisti sono arrivati presto, ma l’eredità genetica è stata dispersa sul mercato, smarrendo l’identità faticosamente trovata nel campionato scorso. Inevitabile che sotto accusa finisca anche l’allenatore, che da qui al derby del 29 vivrà giorni di apnea: nemmeno la fiducia più cieca è infinita. E fa effetto che a difenderlo pubblicamente sia stato De Rossi, un suo calciatore.
Lui, Di Francesco, ha scelto anche strade discusse. Al Bernabeu l’azzardo di Zaniolo – plusvalenza nell’affare Nainggolan che sta stupendo per l’impegno – in campo senza avere un solo minuto con la Roma alle spalle è stato « perché lo merita ma anche per dare un segnale agli altri». L’esordio europeo s’è allora trasformato in una dichiarazione di intenti. Destinatari Kluivert e Karsdorp, in tribuna per scontare il peccato di superbia, come da annuncio della vigilia.
Il problema è che la precarietà trasmessa dal club, per cui nessuno è davvero indispensabile, pare aver contagiato persino il suo profeta. « Andar via? Ho una clausola di rescissione » , rispondeva Monchi stesso a una radio madrilena che gli chiedeva del suo futuro. Come un qualunque giocatore che voglia mettersi sul mercato. Poi però il ds spagnolo era pure il primo a metterci la faccia assumendosi la responsabilità della crisi: « È colpa mia » . Chissà se pensava alle difficoltà incontrate dai nuovi: il più criticato, Olsen, ha evitato il naufragio al Bernabeu, degli altri si sono perse le tracce.
Cristante ha guardato da fuori, Nzonzi ha fatto il compitino come gli capita dall’esordio, Pastore non c’era e non è che qualcuno l’abbia rimpianto, a essere onesti. Ma l’argentino, che della campagna estiva doveva essere l’icona, è diventato il simbolo degli equivoci in cui la Roma s’è annodata. Ad esempio: con quale modulo gioca? Finora Di Francesco ne ha impiegati 4 e non ha mai chiuso la partita con quello che aveva scelto all’inizio. E cos’è successo alla difesa, che ha subito 102 tiri in porta dall’inizio della stagione – 30 solo con il Real – per una media di 20 a partita e 10 gol? Un anno fa dopo Roma- Atletico Dzeko lamentò pubblicamente l’eccessiva solitudine e fu rimproverato, ora lo fa in campo. Ma un anno e una semifinale dopo, pare d’essere ancora lì.
(La Repubblica – M. Pinci)
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