Cengiz Under e Aleksandar Kolarov

(Il Messaggero – S. Carina) Il ko con il Milan – al di là della corsa alla prossima Champions ancora aperta e delle possibilità di approdare ai quarti in quella attuale – rischia di lasciare il segno. L’altra sera c’è un fotogramma nella ripresa che riassume il momento vissuto dal gruppo: Fazio, dal limite della sua area, sale palla al piede. Nonostante la velocità non sia il punto di forza dell’argentino, dopo aver percorso 20-30 metri arriva sulla mediana, ritrovandosi la squadra di Gattuso già schierata e il solo Under davanti a lui. Incredulo, si gira e trova nove compagni dietro a lui. Non uno, nove. È la foto della Roma attuale. Al netto del peccato originale di un mercato che ha lasciato più ombre che certezze, la squadra appare svuotata, senza un’anima, sulle gambe, incapace di reagire, senza uomini che sappiano prenderla per mano, pronta a sgretolarsi alla minima difficoltà. Un fotogramma che somiglia ad una condanna per la rosa attuale. E soprattutto per i suoi big, o presunti tali.

CICLO MAI NATO – Nelle analisi, purtroppo cicliche, dei momenti critici vissuti in questi anni, si è sempre puntato l’indice contro l’allenatore di turno. I calciatori – al netto della rifondazione che avvenne dopo il 26 maggio del 2013 – sono stati (quasi) sempre risparmiati. Anche dal club. Stavolta – e l’arrivo di Monchi (volato ieri negli Usa) in tal senso pesa non poco – la sensazione che trapela off record da Trigoria è diversa. In primis per una questione d’anagrafe. L’affaire-Dzeko a gennaio ne è la dimostrazione: a far saltare la cessione del bosniaco (32 anni il 17 marzo) al Chelsea è stato il calciatore, non convinto del momento e dall’offerta. La Roma, però, la sua scelta l’aveva fatta. E al netto delle smentite ufficiali su Nainggolan (30 anni il 4 maggio), la vicenda che ha visto il belga vicino all’Evergrande Guangzhou, prima del passo indietro del club cinese, è l’ennesima conferma di come a giugno Monchi abbia in mente una rivoluzione. Le sue parole – datate primi di gennaio – sono eloquenti: «Chi non dimostra mentalità vincente non può stare qui». Tradotto: non esistono più incedibili.

SI RICAMBIA – A gennaio alcune delle mosse che il ds aveva in testa non sono andate in porto. Giugno, però, ormai è dietro l’angolo. Non solo perché il mantra che guida le decisioni della Roma – È la qualità dell’offerta a indirizzare le scelte – è rimasto lo stesso da Sabatini al ds spagnolo. Ma perché questo gruppo ha dimostrato che oltre un certo step non riesce ad andare. Anche caratterialmente. L’immagine di Gattuso che domenica sull’out di sinistra zittisce Kolarov, è una goccia in un mare che più volte ha visto in questa città confondere personalità e temperamento con qualità tecniche. Che tra l’altro per alcuni, sembrano essersi volatilizzate. Dovendo concedere per forza (vista l’entità degli investimenti estivi) ai nuovi arrivati almeno una seconda chance, per gli altri il discorso è inevitabilmente diverso. El Shaarawy è scomparso, Perotti continua nei suoi ciclici saliscendi, Florenzi è a dir poco involuto, De Rossi in evidente affanno, Nainggolan è semplicemente irriconoscibile, Dzeko appare svuotato, Strootman è ormai la controfigura del campione ammirato con Garcia, la coppia Manolas-Fazio si conferma forte con i deboli ma in sofferenza quando l’asticella si alza, Kolarov è in debito d’ossigeno. È chiaro che Monchi non potrà cedere tutta la rosa. Ma già il fatto che nessuno sia più incedibile, è indice che siamo all’alba di una nuova rivoluzione. L’ennesima. Il problema sarà farlo capire e accettare alla piazza, illusa e senza vittorie da un decennio. Forse, non sacrificare i giovani talenti (Alisson, Schick, Karsdorp, Pellegrini e Under) sull’altare del fair play finanziario, potrebbe rivelarsi un (primo) punto di partenza



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