Si respira, a Oporto. Ed è la prima buona indicazione per la Roma che è partita dai 32 gradi della capitale ed è atterrata ai 20 di qua. Si respira con più fatica quando si entra nello stadio “de Dragao”, lo stadio dei dragoni. Ma non c’entra la Roma, c’entra solo un brutto e doloroso ricordo che ci accompagna da una dozzina di anni, lo scorpionato colpo di tacco di Ibrahimovic nella porta che sta alla nostra sinistra e che guardiamo con odio, come in quell’Europeo, perso dall’Italia del Trap per il biscotto dei nordici, il 2-2 fra Svezia e Danimarca. Ma senza quel gol di Ibra (che scrisse l’1-1 finale), nessun pasticcere al mondo avrebbe potuto infornare quel biscotto velenoso.
UN RAPPORTO DA MIGLIORARE – Semmai, il problema per la Roma è che da quella sera amara per il nostro calcio, nessuna squadra italiana è riuscita più a vincere a Oporto. Ci ha giocato due volte l’Inter in Champions League con un pareggio e una sconfitta e l’ultima è stata il Napoli, nell’Europa League 2013-14, che ha perso 0-1 al Dragao e poi è stata eliminata dal Porto col 2-2 del San Paolo nei sedicesimi di finale. E già per conto suo, la Roma deve risolvere un rapporto non troppo amichevole con l’Europa. I suoi numeri recenti, maturati negli anni di Rudi Garcia, fanno spavento: in Champions e in Europa League un pareggio e tre sconfitte nelle ultime 4 gare, una sola vittoria nelle ultime 10 e zero gol segnati nelle ultime 3. E c’è pure qualcos’altro: dal 2010 a oggi, il play-off per le italiane è sempre molto problematico. Lo abbiamo perso 5 volte su 6, l’ultimo con la Lazio (eliminata dal Bayer Leverkusen) nella stagione scorsa. Con tutto quello che ne consegue. Per le ambizioni di Spalletti sarebbe un colpo terribile. Meglio non pensarci. E comunque tocca a lui, a Luciano da Certaldo, invertire la tendenza, anche se il sorteggio dei play-off, a cui la Roma è iscritta per la prima volta, non è stato di grande aiuto.
30 MILIONI IN PIU’… – Non si fatica a credere che la Roma, da Pallotta all’ultima riserva di questa sera, consideri la partita di Oporto come la più importante della stagione. Lo è perché fonde gli aspetti principali di una società: soldi e calcio, tranquillità economica e ambizione sportiva. La differenza, per le casse, in un conto che per forza non può essere preciso, è di 30-35 milioni di euro fra la Champions e l’Europa League. E’ una somma che tiene conto degli incassi, dei diritti tv, del market-pool. Con 30 milioni, l’A.S. Roma rientra in un piano di equilibrio e può investire e migliorare la struttura dell’organico, ma può anche (o soprattutto) restare in un gruppo di squadre di cui ha sempre fatto parte negli ultimi tre anni (con questo). La Roma e il Napoli hanno rimpiazzato in Europa le milanesi in crisi, sono state le uniche, anche se in questa veste non troppo credibili, avversarie della Juventus in Serie A. Lasciare solo due rappresentanti in Champions non sarebbe, per il calcio italiano, il modo migliore per cominciare la stagione.
I CAMPIONI D’EUROPA – Il Porto ha già iniziato il campionato, venerdì scorso ha battuto un avversario di medio livello portoghese, il Rio Ave sesto nel campionato scorso, per 3-1, rimontando un gol. In Champions ha una storia diversa, più corposa, rispetto alla Roma e oggi rappresenta (con Danilo Pereira, il regista) anche la nazionale campione d’Europa. La squadra di Spalletti sarà la prima a constatare direttamente quanto è cresciuta l’autostima del calcio portoghese, per la prima volta vincitore di un grande torneo. Certo, nel Porto non giocano Cristiano Ronaldo, Renato Sanches, Nani, Guerreiro, Rui Patricio e nemmeno William Carvalho, ma già il marchio del Porto è sufficiente a porsi delle domande sul rilancio del Portogallo. Le risposte alla Roma.
(Corriere dello Sport – A. Polverosi)
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