(La Repubblica – F. Bocca) Potremmo rovesciarla Roma-Liverpool (si comincerà ad Anfield martedì 24, ma dire Liverpool-Roma sembrerebbe un’altra partita, un’altra storia e dopo ciò che fu 34 anni fa non può esserlo). Potremmo rovesciarla e prenderla prima di tutto dalla parte di Jürgen Klopp. Il Joe Fagan di oggi, oppure, al limite, perfino un emergente Di Francesco tedesco di qualche anno fa quando apparve al calcio col suo Borussia Dortmund. « Non mi convince mica tanto questo sorteggio con la Roma, non mi sono certo messo a dire “ grazie Dio che ci hai evitato il Real Madrid e il Bayern!”». Può essere la verità o forse un semplice rimedio alla battutaccia di due giorni prima quando ha detto: « No la Roma, dai, ha eliminato il Barcellona. Ma cos’è uno scherzo? » . No, non lo è. È forse uno scherzo che il Liverpool abbia eliminato il Manchester City?
Roma-Liverpool di oggi nasce da storie profondamente diverse. Nel 1984 la Roma era la quintessenza del nuovo, del progresso e del genio – Liedholm, la zona, Falcao – il Liverpool una corazzata in cui Ian Rush, almeno nella fama internazionale, non era molto distante da Cristiano Ronaldo. Era anche l’epoca delle Coppe tutte al mercoledì, e di rari spezzoni tv da vedere su Rai 2, con la coppia De Laurentiis – Martino ( Eurogol). Ma i campioni che giravano allora per l’Italia oggi ce li sognamo. E, discriminante fondamentale, la Roma, l’anno prima, il campionato l’aveva vinto davvero. Per coincidenza, o forse perché oggi il business sconvolge i destini, rispetto ad allora i due club sono entrambi di proprietà americana. James Pallotta conosce benissimo John Henry maggior azionista di Boston Globe, Red Sox e Liverpool appunto. «È un derby di Boston » ha detto, «sarà molto divertente». La febbre è già alta, la gente si è messa in fila per prenotare i biglietti alle rivendite un minuto dopo il sorteggio. Tifosi, giocatori, allenatore e dirigenti hanno salutato il Liverpool un po’ come il segno del destino, un tunnel spazio temporale che promette chissà quali riscatti, ma soprattutto sotto sotto come la sottrazione al moloch del Real Madrid. Che di riffa o di raffa – vallo a dire alla Juve – in finale di Champions ci va, vincendone oltretutto a mazzi. I Blancos se li beccheranno quelli del Bayern, perfetta replica del quarto di finale di un anno fa. Settimana intensa per il vecchio Jupp Heynckes: ha vinto il quarto titolo col Bayern, ha eliminato il Siviglia, punta dritto sulla sua terza Champions, poi lascerà il posto al giovane Niko Kovac.
Dopo aver esorcizzato Leo Messi la Roma dovrà esorcizzare Momo Salah, e quel sorriso eternamente stampato in faccia a causa dei gol che segna a ripetizione ( 29 in Premier, più 9 in Champions League). Salah per la Roma è stato gol e dribbling nell’ultima epoca spallettiana, ma anche il classico assegno circolare che si moltiplica velocemente fino a generare la plusvalenza che tutto governa. I milioni dai venti spesi, diventano 42 più altri 8 quasi garantiti che finiscono nelle casse della Roma, ma Salah è un vorticoso bitcoin del pallone che raddoppia e triplica a vista d’occhio e chissà quanto farà ricco il Liverpool. Settantanove gol in stagione: insieme a Firmino e Mané, Salah forma un terzetto d’attacco formidabile ( il migliore in Champions), anche più pericoloso oggi dell’attacco del Barcellona. Tra Roma 1984 e Kiev 2018 ci passa una vita d’attesa. Eusebio Di Francesco, ora sospeso tra il Barcellona e il derby di domani, se ne farà carico. «Roma- Liverpool: lo so benissimo cosa c’è nei cuori dei romanisti».
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