Istruzioni per l’uso: queste righe non potrebbero mai esaurire il senso di una conferenza divenuta show, culto della personalità, narcisismo autolesionistico. Walter Sabatini ha chiuso il suo rapporto con la Roma non certo sbattendo la porta – e forse questo ha rappresentato un limite di coraggio, visto alcuni dei privati giudizi che riservava agli amici – ma raramente un fallimento sportivo è stato così ostentato, così come la parallela rivendicazione della bontà del proprio operato. Incongruenze? Una cosa è certa: le plusvalenze prodotte gli danno ragione, i risultati sportivi (cioè le vittorie) abbastanza torto perché, se la Roma «yankee» ha portato a 2 secondi posti in 5 stagioni, lo stesso club – dal post scudetto 2001 – onestamente lo stesso traguardo lo ha raggiunto 6 volte in 10 campionati. Non poco.

RIVOLUZIONE FALLITA – «Ero qui per stimolare una rivoluzione culturale, ed è stato il mio vero fallimento – ha detto Sabatini –. Ovviamente so di aver fatto degli errori, però ho portato la Roma a sedersi su tutti i tavoli del calcio che contano grazie a un mercato rissaiolo. Sulla rivoluzione culturale, mi riferivo solo a un’esigenza, cioè pensare alla vittoria non come una possibilità, ma come una necessità. Non penso di averlo centrato, ma ho ancora qualche speranza che succeda, visto l’allenatore che c’è, Spalletti. Comunque mi sento molto deluso: qui si perde e si vince nella stessa maniera, questa è la nostra vera debolezza. L’idea di non essere riusciti a vincere uno scudetto mi perseguita, la terrò per tutta la vita, a meno che questa squadra non faccia cose imprevedibili».

CASO TOTTI – Molto rumore hanno fatto le sue parole intorno a Totti. «Tutti vogliamo Totti. Io gli darei il premio Nobel per la Fisica. Le sue traiettorie hanno messo in discussione Copernico, Keplero, la Relatività. Totti però costituisce un tappo, perché porta una luce abbagliante e oscura tutto un gruppo di lavoro. La curiosità morbosa che c’è per ogni sua espressione dentro e fuori dal campo, comprime la crescita di un gruppo di calciatori».

C’E’ MASSARA – Non sono mancate le critiche all’ambiente. «Mi succederà Ricky Massara, che non è un mio delfino ed è bravissimo, ma nella Roma ci sono dirigenti vituperati e diffamati: Baldini un massone dannoso, Baldissoni un arrogante imbucato e anche lui massone. Attenzione: non vi sto accusando di niente, le sconfitte della Roma sono tutte mie e in quota anche di qualcun altro. Non è un attacco alla informazione, ma all’abitudine. Il mio mercato? C’è stata una strategia che mi è stata affidata: se vendo Benatia e compro Manolas non ho prodotto un danno, produco un utile e lancio un altro giocatore. Ci sono rischi notevoli, è vero, ma i calciatori venduti sono stati adeguatamente sostituiti, nel saldo dare-avere ho cercato di non indebolire la squadra. Il danno è nel fatto che, mancando la continuità, non si arriva mai a coagulare una unità di intenti, ma abbiamo dovuto farlo per essere competitivi. Milan e Inter vorrebbero essere la Roma, però siamo incappati in un ciclo della Juve straordinario, Paratici e Marotta hanno fatto scelte superiori».

LUI E PALLOTTA – Ma l’addio non dipende da questo. «Non ho squadre, sono disoccupato, ma io posso fare solamente il mio calcio, non sono una mente elastica che riesce ad adeguarsi a nuovi criteri. Il presidente è un imprenditore, vede il calcio come un’azienda. Lui e i suoi collaboratori stanno cercando un algoritmo vincente, io invece vivo d’istinto, il mio calcio non può essere freddamente riportato alla statistica. Le statistiche aiutano ma tradiscono. Non voglio combattere queste tesi, ma non intendo cambiare. Le cantonate le ho prese, ma l’avere supera nettamente il dare». Parentesi: persino Chris Pallotta, figlio del presidente ha lanciato una startup finanziata dal papà: «Tag.Bio». Insomma, c’è poco spazio per Sabatini. «Vengo sostituito da una cultura non censurabile, io ritengo di non essere all’altezza di questo compito. Devo fare il mio calcio e qui ora posso farlo un po’ di meno». Chiude con la rivendicazione orgogliosa sul pagamento delle commissioni. «Le ha prese chi doveva prenderle, non ci sono prebende per nessuno, la Roma è una società onesta, io sono un uomo onesto». E dopo aver visto la partitella del pomeriggio della squadra, ha lasciato Trigoria un po’ commosso. Tornerà presto per salutare la squadra. Spalletti abbracciandolo gli ha detto: «Potevi dirmelo prima, avrei provato a convincerti a restare». Stavolta, crediamo, sarebbe stato impossibile.

(Gazzetta dello Sport – M. Cecchini)



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