Arrigo Sacchi

(Il Messaggero – A. Valentini) Seguire le partite con Arrigo Sacchi senza taccuini e microfoni, ma sul divano di casa, ha sempre un sapore particolare. Anche per chi lo frequenta da 30 anni e ne conosce pregi e difetti, con quel credo che arruola seguaci convinti e critici spietati, ma che in ogni caso – piaccia o non piaccia – ha cambiato il nostro calcio, dividendolo in due ere, prima e dopo Sacchi. Attraverso il suo giudizio scopri spunti e riflessioni che ti aprono a un calcio offensivo, possesso palla e controllo del campo, mai sparagnino, coraggioso al limite dell’incoscienza con l’obiettivo e il gusto di privilegiare lo spettacolo, dove il successo è meritato solo se è frutto del gioco. Ma questa chiacchierata non può che partire dall’attualità delle ultime ore: dopo l’impresa con il Barcellona di Messi, la Roma ha pescato il Liverpool.

Che avversario sarà, Sacchi?
«Il più ostico e il più velenoso dei tre. Una squadra in crescita, velocità, grande ritmo e movimento senza palla in tutte le zone del campo, con una resistenza fisica notevole. Avrei preferito il Bayern che è una squadra vecchia. Abbiamo visto in tv come il Liverpool ha tritato il Manchester City, in casa e fuori, una squadra stanca. La Roma dovrà avere la spinta che ha avuto con il Barcellona e andare ad aggredire».

Domani c’è il derby. Tra una squadra che ha già la testa alla semifinale di Champions con il Liverpool e una squadra che ha perso la semifinale di Europa League per un black out costato 4 gol in 19 minuti. Una Roma a mille e una Lazio bastonata.
«Di solito noi italiani nelle sofferenze riusciamo a dare il meglio; ma giocando con l’intensità dell’ultima Roma si crea ottimismo, che va gestito però in modo corretto perché non diventi presunzione. All’avversario in difficoltà, bisogna montargli addosso, se un depresso intravede la luce si ribalta tutto. E la Lazio è brava a rubare palla e a ripartire, anche a Salisburgo ha creato tantissimo, un vero peccato»

Tra gli allenatori moderni,Di Francesco e Inzaghi (in odore di Juventus) a che punto sono?
«Eusebio è più vicino a un calcio internazionale: se scegli primo non prenderle non rischi, ma il rischio è alla base di ogni avventura. Sta dando alla squadra una fisionomia: generosità, passione, intelligenza, un gruppo pensante, non un singolo che fa la prodezza. Simone è una sorpresa positiva, più italianista, ma la sua Lazio propone gioco, è brillante e divertente. Anche se dirlo oggi stona e fa rabbia, la strada è quella giusta e lui può crescere molto se avrà coraggio. Dimostra di avere dei valori, è un ragazzo positivo e con i piedi per terra».

Con Totti passato dal campo alla dirigenza, ma un De Rossi dal cuore grande così e un nuovo volto della squadra, dove può portare il progetto di Di Francesco?
«Anche per questioni di qualità, a Sassuolo non gli era riuscito di imporre il pressing, squadra poco compatta, scarsa sincronia. Qui il discorso è già cambiato: se lo seguono, per la Roma questo è un punto di partenza non di arrivo.»

Qual è oggi lo stato di salute del calcio italiano ?
«Non ha uno stile: gli inglesi hanno una fisionomia precisa, riconosci subito gli spagnoli, per noi c’è solo la vittoria, ottenuta in che modo non importa. In Europa, si costruisce gioco, c’è un atteggiamento offensivo; e se non porti la guerra lì nell’area avversaria, finisci per subire anche se sei bravo a difendere Nell’ultima domenica in A c’erano da sospendere 3-4 partite per la cattiva qualità dello spettacolo, ci sono squadre che si rifiutano di giocare. Aggredendo il Barcellona, la Roma ha impedito che gli spagnoli alimentassero Messi. A differenza di quello che molti pensano, il calcio è come un’orchestra, è un gioco collettivo non individuale, e come in un’orchestra bisogna seguire uno spartito. In Italia invece abbiamo sempre puntato sul singolo e sui suoi piedi buoni per risolvere le partite. E’ il contrario e nel gioco collettivo si esaltano le qualità dei fuoriclasse»

La Nazionale è al 20esimo posto nel ranking internazionale, il peggior piazzamento della storia. Dopo 60 anni l’Italia non andrà ai Mondiali. Come si torna al vertice, come si sceglie il prossimo CT azzurro?
«Noi speriamo sempre nel salvatore del momento, non va bene. La Federazione deve scegliere in base a un progetto, decidere che tipo di calcio vuol fare, offensivo o vecchia maniera: e prendere l’uomo più funzionale a quel progetto. Non faccio nomi, ma ci siamo capiti. E per i vivai bisogna ripartire dai corsi per tecnici specializzati, i cosiddetti formatori. Se quattro Nazionali giovanili sono oggi qualificate per i Campionati europei e mondiali, vuol dire che abbiamo scelto la strada giusta. Non ci manca la materia prima, ci manca un modello organizzativo e di gioco che vada dall’Under 15 fino alla Nazionale maggiore. Come hanno fatto la Germania e la Spagna, ma anche Paesi che una volta non facevano testo, come il Belgio o la Svizzera».

Arbitri, Var, recriminazioni e polemiche tutte italiane, che spettacolo dà il calcio di se stesso?
«La Var è un passo avanti, ma non tutti sono bravi a utilizzarla. Per usare un eufemismo, c’è qualcuno timoroso. Bisogna dare input precisi agli arbitri. Anche con la Var, per esempio, resta difficile valutare l’entità di un contatto. In Italia spesso basta la spinta di un dito per franare a terra. Bisogna ricostruire i valori del calcio: etica, lealtà, trasparenza e non cercare il risultato a ogni costo, ma attraverso il gioco»

A 72 compiuti, Arrigo Sacchi resta una miniera di conoscenze e di sana follia. «Ricordati – mi dice salutandomi con un abbraccio – che Fusignano, dove sono nato, è il paese dei pazzi. E io ho dato il mio contributo».



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