Si sono soltanto sfiorati, ma insieme potevano fare sfracelli. Arrigo Sacchi, l’allenatore rivoluzionario, l’uomo che ha cambiato l’immagine del calcio italiano nel mondo. Francesco Totti, il calciatore più moderno nato sotto questo sole, capace di segnare 250 gol e farne segnare altrettanti. Il 18 febbraio 1996, il c.t. Arrigo Sacchi convoca il diciannovenne Totti per uno stage alla Borghesiana. Totti non lo sa ancora quando scende in campo nel derby, perso per 1-0, passato alla storia romana per un clamoroso errore di Marco Lanna. Quando esce dal campo, Bruno Longhi, microfono di Mediaset, cerca di fermarlo: mi dici due cose?. «Lascia stare». Come lascio stare? Sei stato chiamato in nazionale! «Ma che, mi prendi in giro?». No, non lo prendeva in giro, anche se Totti pensava di essere stato convocato per l’under 21.

Buongiorno, Arrigo Sacchi. Domani Totti compie 40 anni. Che cosa aveva visto in lui, quando era così giovane?
«Un ragazzo con straordinarie qualità. Mi è piaciuto sempre. Tornato al Milan dopo la nazionale, nel 1997, ho cercato di farlo acquistare. Ero direttore tecnico al Real Madrid e Zidane ci fece capire che avrebbe smesso di lì a poco. Andai dal presidente Florentino Perez e gli dissi: l’unico che può sostituirlo è Totti. Ma lui non volle muoversi da Roma».

Non uscire dal G.R.A. è stato il suo limite, come dice chi non lo ama?
«Forse un tempo avrei detto anch’io così. Però, adesso che è arrivato a 40 anni in queste condizioni, ho cambiato idea. Penso che quell’attaccamento ai colori e alla sua città sia stato un gesto di intelligenza e non di timore. Quando stai bene in un posto puoi cambiare per due motivi: il denaro o lo spirito di avventura. Penso a Shevchenko e Kakà che sono andati via dal Milan. Poi, al Chelsea e al Real, hanno fatto male».

Totti, la Roma e Roma. È un triangolo perfetto?
«Totti mi fa pensare a Gigi Riva con il Cagliari. Una prova di amore ma, lo ripeto, anche di intelligenza. E nel calcio l’intelligenza è sempre la prima cosa. Spesso crediamo che debba essere al servizio del talento e invece è esattamente l’opposto: è il talento che deve essere al servizio dell’intelligenza».

Trequartista o attaccante?
«È un giocatore senza controindicazioni. È stato un rifinitore straordinario che ha sempre giocato per la squadra, a tutto campo e per tutto il tempo. Poi ha imparato a fare anche tanti gol. È andato bene nelle squadre senza un vero gioco a sostenerlo e benissimo in quelle che avevano un gioco organizzato. Punizioni, assist, rifiniture, gol. Ha la precisione balistica di un Michael Jordan».

Se dobbiamo trovargli un difetto?
«In Nazionale non ha ripetuto le stesse cose che ha fatto nella Roma e così, a un certo punto, ha deciso di lasciare. Ha fatto bene per prolungare la sua carriera, però gli è mancato il riconoscimento internazionale che meritava. Colpa anche della Roma, che non ha mai fatto la Champions League per vincerla».

Chi è stato l’allenatore che lo ha sfruttato meglio?
«Zeman, che si era innamorato di lui e che avrebbe potuto portarlo ancora più in alto. Totti poteva fare di più, ma ha incontrato anche qualche allenatore, diciamo così, più conservatore…».

È il più forte quarantenne della storia?
«Non dimentichiamo Paolo Maldini, che si è confrontato anche a 40 anni con la Champions League».

La qualità del Totti giocatore che piaceva di più al Sacchi allenatore?
«L’universalità».

Con lei, dicono, i trequartisti avevano vita dura. Totti avrebbe giocato nel suo Milan degli olandesi?
«Il trequartista ce l’avevo ed era Donadoni. Quando il Milan entrava in possesso palla giocava in posizione centrale, quando la palla l’avevano gli altri doveva prendere una posizione per farci difendere meglio. La squadra è un puzzle, se manca un tassello salta tutto. Gullit voleva giocare in quella posizione, ma io non volevo. Totti avrebbe giocato come mezza punta o come seconda punta».

Totti e gli allenamenti di Sacchi: come sarebbe andata?
«Cercavo squadre con grandi doti fisiche, ma non credo di aver fatto lavorare troppo i miei giocatori. Baresi, Costacurta, Maldini… Hanno avuto tutti carriere lunghissime. Anche se Brera scriveva che li stavo ammazzando tutti».

Il segreto della longevità di Totti?
«La passione».

Gli faccia un regalo…
«Gli regalerei una città più vivibile, senza irregolarità e illegalità. Sono stato a Roma un mese, per commentare i Mondiali alla Rai. Uscivo dall’albergo e c’era un passaggio pedonale: 30 giorni su 30 è stato occupato da auto in sosta vietata. Si comincia dalle piccole cose».

Che saluto gli manda?
«Quello che dicevo a Franco Baresi: se prima lavoravi 50, adesso devi lavorare 100».

(Corriere della Sera – L. Valdiserri)



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