AS ROMA NEWS DERBY LAZIO – Calcio, mistero senza fine bello. Ma non ditelo alla Roma, oggi non è il caso, e soprattutto non a Mourinho, che esce a orecchie basse, impotente di fronte allo scempio di una Roma esangue, lui stesso responsabile di una sconfitta che brucerà a lungo per quel senso di malinconia che lascia, senza contare che è già la terza caduta in casa dell’anno, e contro tre grandi, scrive Il Messaggero.
Mistero senza fine perché a trionfare, nel derby più grigio e tecnicamente modesto dell’era moderna, è la Lazio di Sarri: quello a cui i critici da birretta e divano danno dell’integralista testardo che pensa solo ai suoi appunti e non guarda il mondo intorno, e invece è un uomo e un tecnico intelligentissimo, sennò non sarebbe arrivato qui partendo dal niente. Senza Milinkovic e Immobile, cioè i migliori, Sarri sceglie di lasciare la palla alla Roma, ben sapendo che ha grossi problemi in costruzione, e di aspettarla, altro che calcio d’attacco e Sarri ball, insomma teoricamente (e di fatto) si snatura e si predispone all’attesa dell’errore altrui.
Infatti si prende il derby, grazie al solito regalo alla Lazio dello sciagurato Ibanez: al 29′ perde palla stolidamente in area sull’attacco di Pedro, assist per Felipe Anderson e sinistro leggiadro per l’1-0 che rimarrà scolpito lì, con una difesa di squadra che non farà passare nemmeno gli spilli, Casale-Romagnoli invalicabili e protetti da un Cataldi capitano sontuoso. Nel mistero del calcio entra anche il paradosso degli attaccanti: la Lazio vince senza Immobile, in panchina da mental coach, ma col falso centravanti Felipe, che oltre a segnare impegna Rui Patricio nell’unica altra occasione per la Lazio nella partita (28′ st); la Roma invece di centravanti ne ha tre, e in tutto ne cava un tiro in porta moscio di Abraham in avvio e una traversa di Zaniolo al 33′, poi nel finale Mourinho li esibisce tutti inserendo anche Belotti in un’ammucchiata senza senso.
Al punto che chiunque sia allo stadio ha la sensazione che la Roma non segnerebbe neppure dopo tre giorni e in una porta larga 12 metri. L’estenuante recupero di Orsato dopo il 90′ (10 minuti) è l’ennesima punizione per lo straordinario pubblico dell’Olimpico, che fin dalle commoventi coreografie dedicate ai Padri e alle radici identitarie, avrebbe meritato una recita diversa. Soprattutto i romanisti: tanta attesa, quell’avvicinamento meraviglioso alla gara, lo stadio in amore, i sold out veri e presunti (ieri era assai presunto), e poi? Tutto qui, lo spettacolo calcistico che deve sorbirsi la gente? Qualcuno mediti, altrimenti alla lunga questo afflato si perderà.
È stato un derby orrido sul piano tecnico, sporco, falloso (32 fischi), governato dall’ansia, o dalle forze declinanti. Prudenza e giudizio, troppi. Piedi buoni, quei pochi, soffocati dal contesto. Trame di gioco apprezzabili o accettabili: zero. Paura: moltissima. La Roma a uomo, fin da Pellegrini su Cataldi e finendo con Mancini su Zaccagni, il rischio più grosso, e infatti Mancini uscirà nell’intervallo, ammonito e in sofferenza costante. La Lazio invece piatta, bassa, quasi a 4-5-1 per tutto il tempo. La gara, una minestra fredda. Camara regista nella Roma, pensate: col suo dinamismo apparente e i suoi passaggi orizzontali, è stato una pacchia per la Lazio, che ha schermato sempre ogni cosa, tranne in avvio per un paio di uscite di palla sbagliate.
Roma chiamata dunque all’attacco, ma priva di luce: senza Dybala, chi deve accenderla, Pellegrini, è consumato più degli altri, i muscoli che urlano, pallido, visto afflosciarsi un paio di volte su contrasti non ruvidi, infine fuori nella ripresa per guaio muscolare dopo aver calciato l’ennesimo corner o punizione, ossia l’unica reale possibilità offensiva della Roma, incapace di costruire pericoli, perché attacca sempre con pochi giocatori: infatti, uscito il capitano, i giallorossi hanno passato l’ultima mezz’ora a lanciare bislacchi up and under rugbistici, pallonacci in area e tutti dentro. Mah.
La Lazio ha giocato al gatto col topo, sorniona e quadrata, via via più sicura di sé dopo il regalo dell’1-0, compatta anche sul lato di Luis Alberto, a sorpresa in campo e votato al sacrificio, come non si sarebbe pensato: ha corso e tamponato, non ha acceso luci, si è molto seccato quando è stato sostituito (come il tecnicamente disastroso Karsdorp dall’altra parte). La Roma non ha avuto la forza di fare nemmeno il solletico all’avversario. Abraham ancora un fantasma, accasciato in una crisi che preoccupa. Il giovane Volpato, nella ripresa, ancora troppo acerbo. E Zaniolo sempre più in versione Maciste: troppe azioni forzate, sfidando il principio fisico dell’impenetrabilità dei corpi, e non si fa così. Finisce col ghigno perfido di Sarri, che esce masticando le cicche come Braccio di Ferro. Il derby l’ha vinto lui, sorprendendoci. E l’ha perso Mourinho, che ormai da qualche mese, a pensarci bene, ha smesso di stupirci.
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