(La Repubblica – M. Pinci) Tre gol alla Polonia utili a qualificare l’Italia all’Europeo Under 19. Mentre la nazionale di Di Biagio cerca disperatamente gol, i più piccoli hanno trovato quelli di Gianluca Scamacca: «A volte basta fidarsi».
Scamacca, pensa che l’Italia creda poco nei ragazzi?
«Sicuramente serve un po’ più fiducia: all’estero vedo che i club danno più spazio i giovani, anche nella nazionale maggiore, c’è un ricambio continuo. Si dà più credito, vedo calciatori che giocano con la nazionale a vent’anni. Ma soprattutto le prime squadre danno spesso spazio a qualche ragazzo: quando ne viene su uno valido dalle giovanili, si rischia. In Olanda ad esempio ci sono meno possibilità di investire e quindi puntano a far giocare i propri, anche solo per venderli. Anche in Francia è così».
Lei conosce bene il modello olandese visto che è andato a giocare al Psv a 16 anni.
«Fu un’occasione di crescita a livello calcistico e umano. Ho imparato le lingue, bene l’inglese, poco l’olandese, un po’ lo spagnolo: ero in camera con un compagno peruviano, Beto, parlava sempre in spagnolo e ho imparato, anche leggendo libri».
Però appena ha potuto è tornato. Perché?
«Mi mancava la mia terra: si è presentato il Sassuolo, una bella occasione, e non ho esitato».
Ora in prestito alla Cremonese fatica, in Nazionale invece ha ripreso a segnare.
«È stata la mia prima tripletta in azzurro. Decisiva, visto che siamo andati due volte sotto. Ma siamo un gruppo che sa rialzarsi».
Dopo anni difficili si sta rialzando anche il calcio giovanile?
«Ci stiamo levando soddisfazioni: noi e l’Under 17 alla fase finale, ma pure l’Under 18 ha battuto l’Olanda e l’Under 16 ha superato la Germania. Non è un caso».
Di chi è il merito secondo lei?
«La Federazione sta facendo un grande lavoro, da quest’anno si sono fatti passi avanti con un campionato Primavera più competitivo, tra squadre di serie A, e credo stia dando i suoi frutti. Poi ci sono annate più fortunate»
Differenze con il calcio giovanile negli altri paesi?
«Per la mia esperienza, all’estero si fa tanto esercizio individuale, lavorano più sul singolo, sulla tecnica, sul dribbling: le giovanili sono molto più “scuole”. Ed è forte il legame con i risultati scolastici, che pesano. In Italia e diverso: si lavora sulla tattica fin dalle giovanili. Ma le Primavere qui sono più organizzate, lì si pensa solo ad attaccare e si cura poco la fase di non possesso».
In che modo l’ha cambiata lavorare lontano da casa?
«Lì ho avuto come tecnico Van Nistelrooy: se venivo a giocare fuori area lui si incavolava, mi diceva di attaccare la profondità, di stare in area. Mi faceva vedere video suoi, o di Radamel Falcao».
Sono loro i suoi idoli?
«Il modello è Ibrahimovic, ma il mio mito era Totti: la mia prima maglia è stata quella della Roma con la scritta Barilla, poi quella dello scudetto con il nome di Batistuta: sognavo di essere lui».
E da un punto di vista fisico?
«Ovunque ci si allena meno, ma a livello intenso. In Italia si punta più sul numero di ore».
A 19 anni ha già vissuto tante vite: a chi deve dire grazie?
«La mia famiglia mi è stata vicino nei momenti duri, e ce ne sono stati. In Olanda non conoscevo nessuno, la lingua, il posto. Non avevo riferimenti. Loro mi sono stati vicini, il Psv ha dato ai miei un lavoro e loro si sono trasferiti. Pure di per vedermi felice».
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