Eusebio Di Francesco

(Gazzetta dello Sport – S. Vernazza) Fate largo, arriva la Roma. La Magica vince il derby, sorpassa la Lazio e quatta quatta s’assesta in zona Champions. Quinta vittoria di fila, in campionato. La squadra di Di Francesco si trascina dietro il meno uno alla voce partite giocate ­ deve recuperare la gara contro la Samp a Genova, gara difficile, non impossibile ­, per cui bando a formalismi e cautele: in attesa che qualcuno assuma una leadership decisa e vada in fuga, ammesso e non concesso che succeda in un torneo incerto e avvincente, la Roma ha pieno diritto di sedere al tavolo delle aspiranti allo scudetto. Lo dice la classifica e lo conferma il gioco, definito e riconoscibile dei difranceschiani. La Lazio esce dal derby battuta, ma non ridimensionata negli obiettivi. Anche Simone Inzaghi può far valere il bonus del match in meno, in casa contro l’Udinese, impegno più facile rispetto a quello dei giallorossi. La Lazio si è infranta su un avversario che l’ha studiata, capita e destrutturata come nessun altro fin qui in stagione. Neppure il Napoli, che a casa laziale aveva vinto perché la difesa biancoceleste si era sfaldata pezzo dopo pezzo.

CHIAVI TATTICHE – La Lazio è partita abbastanza forte, ha fatto valere peri primi dieci minuti la risorsa Luis Alberto, col suo calcio rapido e diretto. Lo spagnolo ha servito un paio di palloni verticali per Immobile, al quale è stato subito annullato un gol per chiaro fuorigioco. Di Francesco è corso ai ripari. Per chiudere la cerniera, gli è bastato avvicinare i due centrali di difesa, Manolas e Fazio, e serrare le linee. Per rovesciare l’andazzo, è poi passato alla fase due, la pressione organizzata il più in avanti possibile. La Lazio è stata inibita nella sua debordante fisicità, mai visto in stagione un Milinkovic così soccombente come nel primo tempo di ieri. Luis Alberto ha perso via via rifornimenti e riferimenti. La Roma ha preso a macinare il suo calcio essenziale, per filosofia non distante da quello luccicante del Napoli, ma in concreto più essenziale e meno barocco. Aggressività a fuoco lento, però costante e tesa all’ipnosi dell’avversario. La Roma ha prevalso per possesso palla senza eccedere o straripare. Ha imposto un giro­ palla funzionale, non abbagliante come quello dei sarriani. Di Francesco ha accantonato gli estremismi giovanili, oggi coltiva la virtù dell’equilibrio. Nella sua Roma tutto si tiene, anche cose contrarie tra loro. Si notano residui spallettiani, per esempio Nainggolan magnifico guastatore. Il precetto base dell’aggressione alta discende da Zeman. Il finale col cambio Juan Jesus­-Nainggolan – il difensore per l’incursore ­ e con passaggio alla difesa a cinque ha matrici trapattoniane. Di Francesco coniuga il sacro e il profano, e forse più di altri ha capito l’anima della città.

CHIAVI TECNICHE – La tattica non spiega tutto. Ha ragione Simone Inzaghi quando dice che lo 0­0 si è spezzato per errori umani. Ha fatto tutto Bastos, in principio di ripresa. Prima ha ignorato una delle principali leggi del calcio ­ difensore scivoloso difensore pericoloso, specie in area – e si è lanciato in un tackle suicida su Kolarov: rigore trasformato da Perotti. Poi si è appisolato su un pallone banale sulla destra e se l’è fatto soffiare da Perotti, che ha servito Nainggolan per la botta del 2-­0. Lo sciagurato Bastos, con i suoi sbagli da matita blu, ha reso macroscopico quel che si percepiva: la superiorità della Roma a ogni livello, tattico, fisico e tecnico. Inzaghi si è aiutato bene con le sostituzioni e più di Nani ha potuto Lukaku, trattore di fascia sinistra che ha un po’ ha scombussolato la Magica. Alla Roma è venuto il braccino, in senso letterale. Il gol accorcia­ distanze è arrivato su rigore di Immobile perché Manolas si è lanciato nella bracciata della paura. Il 2­1 però ha retto agli assalti laziali. La Roma va e chissà dove arriverà, con questo Di Francesco bravo e furbo, un po’ Gentiloni e un po’ Minniti.



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