Patrik Schick

(Il Tempo – E. Menghi) A vederlo in allenamento, settimana dopo settimana, tutti si sono convinti sempre di più di avere tra le mani un talento purissimo. Stile, tocco di palla, gol, ogni cosa fa pensare che sia un giocatore fortissimo, per cui vale la pena scommettere milioni e pazientare. Il momento arriverà, si sussurra nei corridoi di Trigoria da ormai sette mesi, ma solo dentro quelle mura le qualità giustificano l’investimento, i compagni ammirano le giocate e capiscono il potenziale che non trova riscontro in campo. Fumo negli occhi o diamante vero, chi è davvero Schick? Lecito domandarselo a questo punto della stagione, poco il tempo per le risposte. Per quelle positive, quantomeno. Finora il ceco ha fallito gli appuntamenti più importanti, 6 occasioni da titolare e 8 da subentrato, mai un guizzo da protagonista. Se inizialmente veniva usato col contagocce, un po’ per l’infortunio muscolare di settembre e le successive ricadute, un po’ per una banale questione di adattamento, ora gli alibi sono caduti come tessere di un domino, eppure Patrik resta un punto interrogativo. Difeso, protetto, tutelato in tutti i modi possibili da Di Francesco in primis, dalla dirigenza e dallo spogliatoio, insegue un riscatto che non arriva mai. Schick non ha un carattere semplice, sa di essere bravo e cosa ci si aspetta da lui, un mix di presunzione e di fragilità emotiva che non lo aiutano a voltare pagina. Il primo a mettersi pressione è lui, perché il bagaglio economico che si è portato dietro quest’estate non è pesante solo sulla bilancia dei trasferimenti giallorossi ma anche e soprattutto sulle sue spalle. Il rischio che a fine stagione resti schiacciato da questo fardello c’è, non sono bastati 270 minuti nelle ultime 5 gare per cambiare rotta. L’equivoco tattico in cui è rimasto intrappolato quando la Roma cercava un esterno come Mahrez per rimpiazzare Salah, che al Liverpool ha già fatto 37 gol diventando idolo in Premier League oltre che in Egitto dove l’hanno pure votato alle presidenziali, ha penalizzato la partenza di Schick, che ha faticato per adattarsi al ruolo di ala per poi riscoprirsi centravanti, salvo poi ricordare dal ritiro della nazionale di essere in realtà una seconda punta. Nella capitale il vestito che gli calza a pennello non lo può sfoggiare per l’evidente discordanza con il modulo preferito dall’allenatore, il 4-3-3, ma al di là delle idee di Di Francesco questo è sicuramente un limite per il ceco, che non ha saputo sfruttare né la convivenza con Dzeko né la solitudine in attacco. La Roma non lo scarica, anche in virtù di un accordo strutturato in modo tale da non gravare troppo sulle casse di oggi ma senza vie d’uscita facili per il futuro: entro il 2020 alla Sampdoria andranno almeno 20 milioni di euro, a prescindere dalla cifra di un’eventuale cessione, oltre ai 22 bonus compresi pattuiti per la prima parte dell’acquisto. Vien da sé che non conviene vendere un giocatore che tra due anni avrà ancora un costo così importante, e allora meglio valorizzarlo, continuare a dargli fiducia sperando che imiti Under e si sblocchi all’improvviso. Per non essere più peso, ma valore aggiunto. A prescindere da ruolo, carattere e pressioni, a 22 anni non può essere troppo tardi per smentire tutti. Senza diventare il nuovo Salah, ma semplicemente il vero Schick.



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