ULTIME NOTIZIE AS ROMA MOURINHO – Per festeggiare la panchina numero mille c’è ancora tempo, almeno fino al 12 settembre, quando allo stadio Olimpico – con il Sassuolo – potrà andare in scena una festa degna di tale traguardo. Del resto José Mourinho a questo ci pensa relativamente. Fa piacere, è ovvio. E quando succederà gli torneranno in mente tanti flashback della sua carriera, scrive La Gazzetta dello Sport.
Prima, però, c’è da costruire al meglio le fondamenta della Roma, la squadra con cui punta a vincere l’ennesima sfida della sua vita. Già, perché Mou ha accettato di allenare nella Capitale per tre motivi: l’empatia con i proprietari (i Friedkin), l’ansia di vincere dove non succede da quasi quindici anni (l’ultimo successo risale alla Coppa Italia del 2007-08) e la voglia di dimostrare a chi lo considera un allenatore «bollito» di essere invece ancora in grado di dire la sua. E anche molto bene.
Del resto, i suoi detrattori gli rimproverano gli ultimi tre esoneri (Manchester United, Chelsea e Tottenham), tre esperienze in cui lo Special One ha chiuso con una Premier, una Europa League, due Coppa di Lega inglesi e una Community Shield. A Roma si pagherebbe oro per molto meno, anche per una semplice Coppa Italia. E Mourinho è l’uomo giusto, quello che ha riacceso di colpo i sogni dei tifosi giallorossi.
«Piano, bisogna andare piano», diceva però il portoghese giovedì sera a Trabzon, dopo il suo esordio ufficiale sulla panchina giallorossa, rispondendo a chi gli chiedeva se potesse essere lui l’uomo giusto per riportare un trofeo a Trigoria. Ma quel «piano» non è legato ad una mancanza di fiducia, anzi. Mourinho sa bene che la sua ambizione va oltre ogni possibile traguardo e che l’obiettivo finale è ovviamente quello di vincere.
Fa parte del suo Dna, del suo essere allenatore, del suo vivere quotidiano che gli regala le emozioni e le sensazioni di cui ha bisogno per motivare ogni suo giorno. Ma sa anche che il punto di partenza è quello che è, che la Roma viene da un settimo posto e da una distanza di -29 dallo scudetto dell’Inter e di -16 dalla Champions. Sono numeri che Mou cita spesso e volentieri, proprio per ricordare a tutti da dove si riparte. È un po’ come se una Ferrari o una Mercedes abbia sbagliato le prove e nella griglia di partenza parta dietro, dalle retrovie. La possibilità di rimontare c’è eccome, ma bisogna assumere una condotta di gara il più corretta possibile.
Per riuscirci Mourinho sta lavorando su quelle che ha individuato come la falle principali della Roma ereditata da Paulo Fonseca: la solidità difensiva e la forza caratteriale. Sono i due «bug» che la Roma si porta dietro da un po’. Mourinho, da uomo intelligente qual è, ha deciso di partire proprio da lì, dai difetti strutturali. E così ha dato equilibrio difensivo alla squadra, ma soprattutto gli sta cambiando pian piano la mentalità. «Per me non esistono amichevoli», ha detto anche di recente. Ed infatti il concetto è stato espresso bello e chiaro alla squadra fin dal primo giorno di ritiro, quando la Roma ha affrontato con una ferocia agonistica diversa dal passato anche i nove test estivi.
Un modo come un altro per iniziare ad infondere carattere, personalità, voglia di vincere e di «mangiarsi» l’avversario, sportivamente parlando, è chiaro. E anche con il Trabzonspor, alla sua prima ufficiale, la Roma ha iniziato a far intravedere i tratti distintivi del calcio di Mou: solidità e fame, appunto. Un’altra Roma, quella della scorsa stagione per intendersi, nel momento di difficoltà si sarebbe sciolta. Questa no, in un modo o nell’altro cerca di andarsi a prendere tutto quello che vuole prendersi. Poi si potrà anche pareggiare o perdere, come dice spesso il portoghese. Ma il cambio di mentalità sarà funzionale anche per il futuro. Per arrivare, appunto, a vincere qualcosa nell’arco dei prossimi tre anni.
Per riuscirci, però, Mou sa anche bene che lui da solo non basta. Serve lo staff, la società. E servono i giocatori. E anche in Turchia su questo ha stimolato la società. A modo suo, con la solita furbizia. Grandi elogi, seguiti dalla richiesta. «Qualcosa ci manca, spero arrivi presto o per la prossima stagione». Già, quel qualcosa è ovviamente il centrocampista centrale (Douglas Luiz, Zakaria e Anguissa continuano ad essere i profili seguiti da Pinto), un cambio adeguato per Karsdorp (Reynolds non è ancora pronto) e – forse – anche un difensore centrale, soprattutto se la situazione di Smalling non dovesse migliorare. Mou non perde occasione per ribadirlo, proprio perché ha voglia di arrivare fino in fondo. E di vincere.
Che poi il cambio di mentalità su cui l’allenatore portoghese sta lavorando va anche in questa direzione, la consapevolezza di poter vincere contro chiunque. Grazie al lavoro settimanale, ma anche a quella parte «invisibile» sui cui lui e il suo staff lavorano tutti i giorni, insieme agli altri dipartimenti del club. Mou lo cita spesso il lavoro «invisibile», perché sa che una vittoria è il collante di tante diversi fattori. E se lui arriverà ad alzare un altro trofeo, sarà anche per merito di chi non vive la ribalta. Del resto, Mou la fiducia se la conquista anche così, gratificando chi fatica ma non si vede.
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