Luciano Spalletti

Da che punto guardi il mondo, tutto dipende. A proposito: come lo guardi Luciano Spalletti? Come l’allenatore che lega il suo nome alla Roma con 87 punti, il record del club in un campionato di Serie A. Si potrebbe dire così, in fondo a una didascalia inappuntabile, inattaccabile da qualsiasi statistico. Ma il calcio è anche altro, la giornata di ieri ha dimostrato che almeno a Roma esiste qualcosa oltre un trofeo, esiste un sentimento. E Spalletti, che stamattina berrà un caffè con James Pallotta comunicandogli il segreto di Pulcinella, ovvero l’addio e le seconde nozze con l’Inter, a torto o a ragione – non è lì il punto – sarà ricordato a Roma come il tecnico che ha messo fine a un sogno, alla carriera del simbolo, come l’uomo che ha maneggiato con la ragione quello che solitamente andrebbe manovrato con il cuore.

CHE NERVI – Così saluta Spalletti, immerso in uno stadio pieno all’inverosimile per Totti e lui che veniva inondato di fischi prima all’annuncio delle formazioni e poi ogni volta che il maxischermo, per sbaglio o per scelta, andava lì a inquadrarlo. Lo immaginava, in fondo, la corsa sotto la curva Sud dopo il 3-2 di Perotti che voleva dire secondo posto non resterà nei cuori di molti. E questa seconda Roma deve avergli riempito la testa più o meno come quella che lasciò per esaurimento nervoso nel 2009. Fine corsa anche stavolta, pure qui con i nervi a fior di pelle, al punto di allontanare – lui e il suo staff – in maniera energica un cameraman che indugiava troppo su di lui durante il giro di campo celebrativo di Totti, con i conseguenti fischi dello stadio. Nervi tesi pure nei confronti di un giornalista di Sky, reo a giudizio del tecnico di averlo messo in cattiva luce durante la settimana.

FRANCESCO VICEPRESIDENTE – Totti, Totti, Totti, come se ci fosse un vecchio conto da regolare: può essere un’impressione, forse è solo il dente che batteva sempre lì e faceva male, male da morire. «Forse ho sbagliato nel suo utilizzo in questo anno e mezzo – ha detto il tecnico –, ma attraverso lui volevo stimolare la squadra, la crescita degli altri giocatori, perché l’esaltazione continua di Totti poteva diventare un limite. Magari ho sbagliato nel dosaggio, a volte sono andato oltre. Sono i ruoli, andava fatto così. Francesco è un bravissimo ragazzo, forse gli ho creato alcune difficoltà, ma l’obiettivo era dare qualcosa in più alla Roma tutta per costruire un futuro senza di lui. E penso di esserci riuscito, abbiamo guadagnato punti su tante squadre dal giorno del mio arrivo, essere arrivato secondo dietro questa Juve è un grandissimo risultato». Dicotomia infinita, l’allenatore e l’anti Totti: «È stata una festa incredibile, se Francesco come credo dovesse smettere di giocare sarebbe una perdita da colmare: ottavo re di Roma è poco, lui è un imperatore – ancora Spalletti –. Ho parlato con lui in settimana, credo sarebbe giusto facesse il vicepresidente, penso si sia convinto a mettersi a disposizione per qualcosa di importante in questa società». Lui da qui invece scapperà, perché convinto di aver fatto il massimo.

(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini)



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