Alla ricerca dell’identità perduta. Perché della Roma che nel girone di ritorno della passata stagione aveva trovato la sua quadratura, s’è persa traccia. O meglio, si fa fatica a trovare una linea di continuità. È così quello che dovrebbe essere un punto di forza (la possibilità di non essere mai uguale a se stessi) rischia di diventare un limite. Anche a gennaio, appena arrivato, Spalletti impiegò un paio di mesi prima di varare il modulo 4-2-4 senza centravanti e con Nainggolan in posizione avanzata. Si passò per la famosa difesa tre e mezzo’ e per il 4-3-3, prima di arrivare ad una tipologia di gioco che ha fatto le fortune giallorosse. Una mossa geniale di Lucio con la quale si andò avanti sino alla fine del torneo, senza retromarce o ripensamenti improvvisi. A partire da quest’estate qualcosa è cambiato. Perché la Roma cambia in continuazione anche quando sembrerebbe (come nel primo tempo di Oporto) aver trovato il suo assetto migliore. E così una volta si schiera con il 4-3-3 con Dzeko, poi col falso nueve, un’altra col 4-2-3-1, un’altra ancora con la difesa a tre. Senza dimenticare l’esperimento del doppio palleggiatore (arretrando De Rossi in una difesa a quattro) nel ritorno del play off di Champions. Spalletti non lo ammetterà nemmeno sotto tortura ma l’impressione è che questo tourbillon di uomini e moduli sia dovuto alla rosa che ha a disposizione (sinora in appena 4 gare ufficiali utilizzati tra campionato e coppe 19 elementi e con l’Europa League il numero è destinato ad aumentare). Perché se viene schierato Dzeko si gioca inevitabilmente con un punto di riferimento centrale. Se il bosniaco lamenta però un raffreddore o è costretto a riposare, ecco che il tecnico, non avendo un sostituto di ruolo, è costretto a cambiare atteggiamento e modo di stare in campo della squadra.
ROSA RISTRETTA – Un discorso che si può estendere anche alla mediana. Se c’è De Rossi in regia è un conto; se c’è Paredes un altro. E in difesa, dove il ko di Mario Rui (avrà la maglia 21) ha aperto una falla a sinistra. I sostituti in rosa infatti non sono terzini: Juan Jesus ci può giocare ma è un centrale e mostra tutti i suoi limiti quando un calciatore agile (ad esempio Jesus Corona) lo punta. Emerson Palmieri è un altro adattato’ perché per corsa, tecnica e modo di giocare ricorda più un esterno in un centrocampo a cinque che in una difesa a quattro. L’unico che potrebbe farlo è Bruno Peres ma risolvendo così il problema a sinistra si scopre la fascia destra dove Florenzi terzino non è e soprattutto Lucio ha più volte ripetuto di volerlo schierare dalla mediana in su. L’impressione quindi è che alla Roma manchino gli specialisti del ruolo. Tornando a Florenzi: Alessandro sa fare tutto, in nazionale ha dimostrato che con un po’ di allenamento potrebbe giocare anche in porta per quanto è bravo ma continuando a cambiargli posizione si corre il rischio di snaturarlo e mandarlo in confusione. E non è l’unico: Emerson Palmieri, Juan Jesus, Ruediger quando tornerà (già si mormora di schierarlo stabilmente a destra) ed altri, schierati in ruoli che possono ricoprire ma che non sono loro, rischiano di andare incontro a brutte figure. Perché nell’emergenza chiunque può ricoprire una posizione non sua e fare anche bella figura. Il problema è quando l’eccezione diventa la regola e si trasforma in consuetudine. Scegliere un modulo di riferimento come accaduto nella passata stagione potrebbe aiutare. Almeno nel regalare più certezze agli interpreti. E nell’evitare la ricerca degli alibi, pronta a partire al prossimo passo falso. Se è vero che la difesa a tre aiuterebbe nelle rotazioni e a sopperire ad una mediana corta è a quattro che la Roma convince maggiormente. Lucio lo sa, tocca a lui scegliere.
(Il Messaggero – S. Carina)
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