Come si diceva in un passaggio di quella canzona di Lucio Dalla, «gli fai una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano». Ecco, a Luciano Spalletti chiedi l’ora e ti parla di Totti. La vera ossessione dopo – a suo dire – la vittoria. Bella o brutta, sempre di ossessione si tratta. L’addio di Lucio ha la firma del capitano, che, ricordiamolo, ha smesso di giocare (con la Roma di sicuro) ma che nel tempo ha avuto la forza di mangiare gli allenatori e di «appiattire il resto della squadra». Quest’ultimo concetto è stato espresso con forza dall’allenatore della Roma che, per la seconda volta nella sua carriera, decide di andarsene: voglia di volare all’epoca (dal casting del Chelsea allo Zenit), troppo Totti adesso. L’amore per il capitano porta ai fischi per Spalletti, con la complicità dei giornalisti, quelli sempre lì a cacciare gli allenatori.
SCAPPATI – Perché – secondo Lucio – tutti i tecnici scappano da Roma. Qualcuno sì, non tutti: a memoria ricordiamo, da Capello in poi, Luis Enrique, lui due volte e il povero Voeller, chiamato più a dare una mano per una situazione disperata che non perché convinti delle sue qualità di tecnico. Il resto è stato, per un motivo o un altro, licenziato, da Andreazzoli a Zeman, fino a Garcia, per restare nella sfera americana. «Qualcuno ha remato contro in questa stagione», l’accusa di Lucio non ha nomi. La società che non gli ha fatto mercato? La squadra? No, forse Totti. E ci risiamo. Riferimento sempre a chi ha pensato a se stesso e non al gruppo. «Io ho provato a compattare, non ci sono riuscito. Se Totti ha giocato poco e questa Roma ha fatto il record di punti della storia, vuol dire che si può vincere in un altro modo. Questo senza togliere niente al fenomeno». Ma chi ha mai detto che Totti doveva giocare sempre? Nessuno. Si era sempre chiesto di «accompagnare con dolcezza la fine di un campione». Che, a detta di Spalletti, ha quasi inibito l’esplosione di Dzeko nel primo anno. Riecco il tappo: Spalletti come Sabatini, che ora ritrova all’Inter. Edin ha sempre ammesso le proprie responsabilità, non è mai stato messo in contrapposizione con Totti: quella Roma giocava con i tre veloci là davanti. E alla fine, lo stesso Dzeko in diretta televisiva ha dato del «furbo» al suo allenatore. Quindi chi ha appiattito chi? «Non sono stato io a far smettere Totti, glielo impone l’età. Anzi. L’avrò fatto smettere o l’avrò fatto giocare un anno in più? Vediamo e facciamo un sondaggio. Secondo me l’ho fatto giocare un anno in più. Gli ho voluto stra-bene». E come facciamo il giochino: creiamo lo stile Roma. Argomento non più toccabile. Andando avanti, sempre su Totti, ovvio. «Ci rivedremo e staremo a cena insieme». La gente di Roma, tanti almeno, è legata alle passioni, ai sentimenti, anche ai risultati ci mancherebbe, ma i fischi che gli hanno regalato i tifosi domenica scorsa sono indicativi: i record, i punti, certe volte passano in secondo piano, perché Roma è diversa da tutte, perché Roma un suo stile ce l’ha già. «I fischi di domenica li ho sentiti e li ho pre-sentiti’, percepiti. E quelli non vengono da una mia coscienza, ma dalla coscienza di qualcuno che ha voluto anteporre una guerra interna tra me e Totti. Guerra che non esiste, al di là di ciò che dice qualche ventriloquo. Io quei fischi non me li merito, per come sono fatto e per come ho lavorato. Poi però si è voluto andare avanti con questa storia ed è chiaro che poi si crea una linea di demarcazione che potrebbe essere anche una difficoltà per la Roma futura, che io non voglio dargli. Io spero solo che ora si faccia un lavoro inverso, perché c’è un Totti di meno e c’è da sopperire alla qualità di uomo, di calciatore e alle qualità che lui ha sempre fatto vedere. Potete dirmi che sono schifoso e maledetto, ma ho sempre lavorato per la Roma e sono una persona perbene. E ho lavorato in maniera seria, lasciando una squadra forte». Tana libera Totti.
VERSO L’INTER – Sul suo più che probabile futuro all’Inter e su Di Francesco come successore, Spalletti prova a glissare: «Sono una persona libera e prendo contatti con chi mi pare, da adesso (ma non li ha già presi? ndr) in poi. Non so come reagirà la gente alle mie scelte e non mi disturberà più di tanto. Eusebio o Montella sono i candidati ideali per la loro bravura e perché conoscono l’ambiente». Lucio prova a cercare qualche consenso quando parla dell’eliminazione dalla coppa Italia non nominando la Lazio, dicendo di aver «perso con quelli che stanno a cuore a qualcuno qui dentro». Ecco, questa ci mancava. Lucio saluta e se ne va con il colpo di teatro, citando Califano, ricordando quando si fece scrive sulla lapide «non escludo il ritorno». Non escludiamo nemmeno che poi se ne vada per la terza volta. Trigoria, come dice Monchi che è appena arrivato, è casa sua.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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