Nessuno tocchi Luciano Spalletti, con tutti gli errori. Appello dei più: mister, rinnovi oggi il suo contratto. Così fece Fabio Capello dopo un pareggiaccio brutto contro l’Udinese all’Olimpico nell’aprile del 2000: quel pomeriggio si pensava all’esonero immediato, invece è arrivato il contratto della felicità, della vittoria. Quella, la 1999/2000 era una stagione triste, ma la firma di Don Fabio fu il preludio allo scudetto dell’anno successivo. L’attuale stagione di Spalletti è tutt’altro che triste, ma il pareggio di Genova un po’, l’ambiente, l’ha intristito: succede spesso, facciamocene una ragione. Serve un cenno, ora. Un cenno che dia la sensazione di solidità, che ci sia l’obiettivo comune di costruire, di continuare a costruire o, per i più critici e pessimisti, di cominciare finalmente a costruire. Ma Spalletti ancora non rinnova. Sono finite le penne, forse. Quelle penne che hanno in mano i calciatori, come dice Lucio stesso. Non rinnova perché sta cercando di capire, osserva il mercato, le idee e le esigenze (soprattutto economiche) della società, intenta a fare i conti.
GLI ERRORI EVIDENTI Il fair play, i conti dei riscatti dei calciatori, un mercato già cicciotto prima ancora che venga consumato la prossima estate. Se la Roma non dovesse arrivare seconda? Sarebbe un problema, sì per la società, ma anche per Lucio, che si vedrebbe sfumare sotto il naso i tanti sogni di gloria che lo hanno riportato qui. Dai sogni alle illusioni. E in questo senso ha ragione lui quando sostiene che la penna per firmare sia in mano ai calciatori. Giusto, ma la penna è in mano anche a lui: e torniamo così agli errori di cui sopra. Sì, anche Spalletti sbaglia, ma questo lo diciamo noi, lui non sarà nemmeno d’accordo. Vermaelen non è un colpevole è lo strumento (involontario) della colpevolezza. Serve un mancino per fare possesso palla contro la Sampdoria? Benissimo. Come sta Vermaelen? Così e così. Allora si resta con Manolas, Fazio e Ruediger. Ci sta che poi non sia quello il motivo, magari il greco non brilla per «comportamenti giusti» ed è finito fuori squadra. Vermaelen in condizioni normali può essere serenamente un titolare della Roma, ma per cause di forza maggiore non può essere al top in questo momento e per questo la sua presenza è stata rischiosa e ha condizionato un po’ il resto della squadra. Detto questo, ci si tenga Spalletti, comunque: la sua presenza è un segnale di continuità, è la forza di resistere alle probabilissime cessioni estive. L’addio di Lucio, significherebbe ricominciare da capo. Spalletti è il tipo che sbaglia raramente, quando lo fa il suo diventa il classico errore che ci fa discutere per settimane: Vermaelen vale Gerson di Juve-Roma o di De Rossi centrale difensivo contro il Porto (andata 1-1, va ricordato) all’Olimpico.
INCIDENTI DIALETTICI Spalletti in questo mese di mercato si è spesso esposto con sincerità, rischiando anche incidenti dialettici. Tipo, «non ho chiesto di cedere Paredes e non voglio che vada via», quando sapeva benissimo che stava accadendo (o poteva accadere) il contrario; ha dichiarato di non aver «chiesto nessuno dopo aver ammesso che, dopo la partenza di Iturbe e Salah, un attaccante sarebbe servito». L’errore in partita può favorire un avversario e magari lasciarti amaramente senza punti, strozzando la tua rincorsa al successo, certi errori dialettici invece denotano una situazione in divenire, di instabilità, che non aiuta la costruzione del futuro. E’ giusto che si sappia chi dovrà essere l’allenatore della Roma nella prossima stagione, è necessario; è corretto anche per il mercato che sarà, in uscita o in entrata. E’ giusto che un allenatore sia felice della sua squadra e dei suoi dirigenti. Un errore in partita si supera, la Roma continuerà a fare il suo degnissimo campionato. La chiarezza sul domani, quella, ci vuole sempre, in ogni momento. Per il bene di tutti.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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