Se la prende con un raccattapalle, che nel primo tempo ha tardato a riconsegnare il pallone a Bruno Peres, nel finale corre dall’arbitro Tagliavento per lamentarsi di questo. Luciano Spalletti era molto più sorridente dopo la sconfitta di Firenze, stavolta è nero, nervoso. Pronto a cambiare. Sa che i problemi non sono legati né al raccattapalle né all’atteggiamento dell’arbitro di turno (a Firenze magari sì, qui no): vede che la squadra naviga tra gli alti e bassi e di questo si assume la responsabilità. «Sono il primo ad essere colpevole, perché non abituo i calciatori ad avere un andamento regolare». Siamo alle solite, qui si parla sempre degli stessi problemi: cambiano gli allenatori, i giocatori, eppure la Roma soffre sempre del mal di continuità. Ci si siede facilmente su se stessi e sui risultati. Quali, poi? Al di là degli aspetti psicologici e alla generalizzata presunzione di fondo, forse questa squadra non è così forte come sostiene il tecnico e tanti ricambi non sono all’altezza.
L’ANALISI – Spalletti se la prende direttamente con sé e indirettamente con tutti. Non bastano dieci minuti discreti, oggi siamo costretti a raccontare di una Roma ridimensionata. «No, questa sconfitta non ridimensiona niente», tiene botta Spalletti. Ma sono proprio quegli alti e bassi che ti condannano e ti mandano in apnea. «E’ lo storico della Roma: ci sono impennate di qualità e manteniamo un alto livello di rendimento, poi arriva quello più bravo e la partita la perdi, non riesci a usare quelle tue caratteristiche. Questo ci crea difficoltà, non ce la facciamo. Così non va più bene», il tecnico sposta il tiro sull’atteggiamento della squadra e chissà, del solito ambiente.
DOPPIE SEDUTE FISSE – «Bisogna cambiare», l’input firmato Lucio. E non basta: «Cambiare quello che pensano alcune menti un po’ malate che, visti i colori che indossano, il nome che portano, credono che gli eventi vadano da soli nella direzione giusta, senza metterci niente. Ci aspettiamo che tutto accada solo perché sei la Roma, ma non è così e questo ci manca da anni. Sono idee distorte, non esiste chi le cose le fa accadere al tuo posto. L’allenatore è il primo responsabile, ma adesso troverò la soluzione». E’ un crescendo di rabbia. «So cosa bisogna fare, so con chi ho a che fare. Così non si va più avanti. Si modificherà qualcosa, non c’è altra strada, con me o senza me. Con altri più bravi è accaduta sempre la stessa cosa». L’elogio finale di Belotti sembra quasi un messaggio a Dzeko. «Complimenti a lui, è un bomber vero, che non sta fermo ma va a guadagnarsi gli spazi». Ma il problema non è solo Dzeko, Spalletti ha in mente tanto altro. Probabile che si torni al vecchio sistema di gioco, ad esempio. «Un po’ di determinazione ci manca, contro il Toro abbiamo avuto occasioni che potevano direzionare la partita in un’altra maniera poi quando abbiamo concesso la prima loro hanno segnato. Nelle difficoltà andiamo in confusione. Ci dobbiamo mettere la testa, andando alla ricerca di un impegno maggiore». Doppie sedute, intanto, per tutta la settimana. Giovedì si torna in campo (c’è l’Astra Giurgiu), molti saranno tenuti a riposo. Spalletti aspetta nuove risposte e calciatori che sappiano interpretare meglio queste sue parole.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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