Luciano Spalletti, allenatore della Roma

Lucio il trasformista. Con gli obiettivi stagionali ridotti alla strenua difesa del secondo posto – vitale per la programmazione societaria e utile all’inversione a U operata dal tecnico in queste ultime settimane – Spalletti regala l’ennesimo ribaltone lessicale. Senza reiterare l’ormai stucchevole «Resto solo se vinco», se il 19 febbraio asseriva convinto che «se non vince si va a casa, perché non avrei fatto né più né meno di chi mi ha preceduto» ora arrivare secondi non solo regala «le chiavi del Paradiso» ma è da percepire addirittura come tale: «È come vincere lo scudetto delle contendenti della Juventus. Perché per quanto hanno fatto vedere i bianconeri, è impossibile metterci mano. Arrivare secondi sarebbe il massimo». Un Garcia 2.0 se volete. Ma Spalletti fa di più, va oltre Rudi: «Perché anche arrivare terzi e parlare di fallimento secondo me è utopia, fa parte di quel modo vostro di voler far apparire le cose. Proviamo a chiederlo a 7-8 squadre se finire terzi è un fallimento. Chi lo dice è un bell’uccello del malaugurio». Si potrebbe porre lo stesso quesito, ampliando gli obiettivi, alla Lazio che ha un monte ingaggi di una quarantina di milioni inferiore a quello della Roma e l’ha comunque eliminata dalla semifinale di coppa Italia. Oppure, come ha fatto ieri Lucio nel tentativo di difendere il proprio operato, al Lione: «Mi ricordate sempre dell’Europa League ma non è che siamo usciti con una squadra scarsa o abbiamo fallito completamente». Scarsa no, ma non certo nella sua stagione migliore se da competitor del Psg è scivolata al quarto posto in classifica a 17 (!) punti dal Nizza terzo e nella semifinale d’andata della citata competizione ha perso 4-1 contro il non irresistibile Ajax.

SOLLECITAZIONI Dopo aver difeso Monchi – «E’ il migliore ds del mondo (copyright già utilizzato per Sabatini, ndc), su Totti ha riportato soltanto quello che ha trovato, è già tutto apparecchiato. Mangia la roba che è sul tavolo» – il discorso si sposta sul capitano: «Per raccontare la sua carriera si osannano i numeri. Ma per fare la formazione non si vedono i gol fatti o la corsa di due anni fa ma gli allenamenti odierni». Tradotto: ormai Francesco non può giocare se non pochi minuti. Poi sull’idea di ritirare la maglia numero 10 si mostra contrario: «Se gestissi io la società non la toglierei. Secondo me ritirare la maglia è una mortificazione, non un’esaltazione. E il bambino che ambisce un giorno a indossarla?». Concetto condivisibile. Meno il sarcasmo che lo accompagna: «Poi magari la tolgono e mi tocca andare al cimitero per rivedere la maglia di Totti». Che secondo Lucio «se dicesse il suo pensiero il prima possibile sarebbe meglio». Singolare che a rimarcarlo sia proprio lui che a un mese dalla scadenza del contratto ancora non ha detto se rinnoverà o meno.

(Il Messaggero – S. Carina)



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