NOTIZIE AS ROMA STADIO BERDINI – «Mafia capitale aveva fatto emergere la disarticolazione delle funzioni pubbliche di un’amministrazione. Un esempio su tutti: si distrugge quel piccolo gioiello che era l’Ufficio Giardini del Campidoglio per dare in appalto alle cooperative legate al malaffare quelle stesse funzioni. Quello che emerge dall’inchiesta sullo stadio della Roma, invece, è ancora peggiore, perché pare proprio che stavolta sia tutta la città e il suo destino a essere stata consegnata nelle mani del malaffare». Da un anno e mezzo Paolo Berdini, urbanista con solide radici a sinistra, ha abbandonato la giunta Raggi di cui è stato assessore fino a febbraio 2017, quando alcune sue dichiarazioni contro la sindaca gli costarono il posto, già traballante dopo le sue prese di posizione proprio contro il progetto dello stadio della Roma che definì «la più grossa speculazione immobiliare d’Europa».
Ne è ancora convinto?
«Sì e gli arresti di oggi lo confermano: il futuro della città è passato dalle mani pubbliche a quelle private. Non si tratta più di piccoli appalti, come nel caso di Mafia capitale, ma di un progetto enorme».
Luca Lanzalone, l’uomo che per la sindaca Raggi gestì il dossier stadio, la definiva «il pazzo»: che ricordi ha di lui?
«Rimango sconvolto da questo giudizio: chi è incolto da un punto di vista morale forse la pensa così. Eppure nelle riunioni che abbiamo avuto sembrava condividere le cose che dicevo. Si vede che fingeva».
Nel suo libro lei, invece, lo definisce «sindaco vicario»: perché?
«Dopo l’arresto di Raffaele Marra, 16 dicembre 2016, la sindaca viene commissariata da due fedelissimi di Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede. Subito dopo la Befana arriva anche Lanzalone che diventa il consulente della sindaca sullo stadio. Badi bene, della sindaca, non dell’amministrazione. Non ha un ruolo codificato eppure prende in mano la situazione e smentisce quello che avevo costruito con i tecnici dell’Urbanistica. È allora che decido di lasciare, al di là di come poi sono andate le cose».
Perché il progetto dello Stadio diventa così importante per l’M5S?
«Me lo spiegò il vicesindaco Luca Bergamo. Dopo l’uscita di Francesco Totti, quando disse in tv “Famo ‘sto stadio”, mi chiamò: “Paolo, dobbiamo fare l’impianto, una posizione contraria non la reggiamo in città”».
Fu fatto per un consenso elettorale?
«È evidente. Io dissi che il consenso si poteva ottenere se avessimo messo mano a un progetto sulle periferie abbandonate. Le buche non ci sono solo oggi, sa? Io provavo a chiedere un intervento organico e invece si pensava che la scorciatoia per il consenso fosse dire sì allo stadio. Panem et circenses ».
Dall’ordinanza del gip emerge il sistema corruttivo del costruttore Luca Parnasi: ci provò anche con lei?
«Mai, non si sono minimamente avvicinati. Ma la corruzione nell’urbanistica arriva quando mancano le regole. Il governo deve ripristinare l’autorità pubblica nel governo della città».
Che vuol dire?
«Basta con l’urbanistica contrattata che qui è nata nel periodo veltroniano e si è fatta malaffare nel periodo di Alemanno. Prima devono venire gli interessi pubblici poi, legittimamente, anche quelli dei privati che vogliono costruire e guadagnare. Ma dietro le trattative che non avvengono alla luce del sole si nasconde di tutto».
Raggi dovrebbe dimettersi?
«La sua vittoria arrivò per un’esigenza impetuosa di buon governo e moralità. Dopo due anni di errori colossali bisognerebbe avere l’umiltà di riconoscere gli errori, riprendere il filo e puntare sulle periferie. Se non si fa così, il suo destino, dimissioni o meno, è segnato».
(La Repubblica – M. Favale)
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