GAZZETTA DELLO SPORT (A. CATAPANO) – Il rischio – che onestamente, smettendo i panni del tifoso, ogni romanista può facilmente intravedere – è di andare incontro ad una bocciatura. Sempre che il metro di giudizio – tecnico, normativo, morale – di chi dovrà valutare la nuova versione del progetto Tor di Valle alla riapertura della Conferenza di servizi, sia lo stesso del passato. Quello che suggerì – è bene ricordarlo – il rappresentante unico della Città metropolitana e il collega del Comune – finanche mentre la Giunta Raggi virava dallo scetticismo alla condivisione – a esprimere parere negativo. Ora, al netto di tutte le illazioni che si possono fare sull’atteggiamento dell’amministrazione grillina – se ci sia una strategia politica, se, come ha ipotizzato ieri il consigliere Pd Pelonzi, l’obiettivo sia farla così «sporca» da farsi bocciare il progetto da altri, Regione in primis -, quantomeno il dubbio che risulti meno evidente la pubblica utilità di un’opera in cui le infrastrutture a carico dei privati, rispetto alla versione precedente, calano del 60%, ben oltre il taglio del 40 delle cubature totali, sorgerà spontaneo. Anche perché trattasi di cifre contenute nella delibera di Giunta, non di ricostruzioni giornalistiche.

NOTE DOLENTI – Le ha elencate tutte l’ex assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo in una lettera inviata al presidente del Consiglio comunale Marcello De Vito, di cui ha reso edotto anche l’attuale titolare dell’Urbanistica Luca Montuori, che qualcuno dal Campidoglio dà per nulla convinto della piega che ha preso la vicenda. L’ammontare delle opere di interesse generale scende da 195 a 80,6 milioni, il 60% in meno; le cubature totali da 354.000 a 212.000 mq, il 40% in meno. Una disparità che, sulla carta, garantisce al privato un profitto di circa trenta milioni di euro. Spariscono i 50,5 milioni che la vecchia delibera destinava al trasporto pubblico su ferro: ora al potenziamento della Roma-Lido (peraltro solo per l’acquisto di un numero imprecisato di treni) viene destinato il contributo costo di costruzione, circa 45 milioni, che il privato è obbligato a riconoscere all’amministrazione e che nella delibera del 2014 restava in gran parte nelle disponibilità del Comune. Sul ponte della discordia, invece, si profila un autentico pasticcio: escluso dal computo delle opere di interesse generale, è rimasto nei disegni senza una corrispettiva fonte di finanziamento, col rischio di rivelarsi un debito da un centinaio di euro per le casse comunali. In sostanza, scrive Caudo, il progetto che si appresta a ottenere il via libera dell’Assemblea capitolina prevede «meno patrimonializzazione per il pubblico, più profitti per il privato e potenziali debiti per la collettività». Olè.



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