Mentre un vincolo sull’area posto dalla Soprintendenza sembra chiudere la strada verso l’approvazione del progetto per lo stadio a Tor di Valle, c’è un ecologista che all’impianto della Roma dice sì. È Roberto Della Seta, ex presidente di Legambiente, oggi consulente per le certificazioni ambientali del progetto. Un nome circolato anche tra i candidati a raccogliere l’eredità di Berdini all’Urbanistica: «Non mi ha contattato nessuno — spiega — non credo lo faranno, ma se succedesse ringrazierei e declinerei».

Invece sul progetto stadio ha accettato di metterci la faccia.
«Ho deciso di collaborare perché ha caratteristiche utilissime non solo per i privati, ma per la città».

Quali, secondo lei?
«È un progetto positivo intanto per la localizzazione: Roma è una città sviluppata a macchia d’olio oltre il Raccordo, e questo rende inefficienti i collegamenti. Questa invece è un’opera pensata all’interno del Gra, in un pezzo di città che già esiste: quindi non consuma nuovo suolo pubblico».

C’è chi lo ritiene una colata di cemento.
«Invece uno dei punti chiave del progetto è la qualità ambientale. Sarà, insieme al nuovo stadio di Bilbao, il primo impianto in Europa certificato Leed, ossia con standard ecologici altissimi sotto tutti i punti di vista. Una garanzia, per ottenerlo servono standard anche sulla mobilità, come il collegamento a una rete di trasporto su ferro».

Intanto, però, il ministero Beni culturali sembra chiudere la partita con il vincolo firmato dalla soprintendente Eichberg. La stupisce?
«Mi stupiscono i tempi. Si parla da almeno due-tre anni di questo stadio, forse la soprintendenza poteva intervenire prima. Ma atti formali non ne ha mai inviati».

Nel merito, solleva questioni riguardo la conservazione del vecchio ippodromo e l’impatto paesaggistico.
«Non sono un archeologo, ma mi pare discutibile sostenere che una tribuna di cemento abbia l’interesse culturale che potrebbe avere ad esempio il Flaminio. Mentre il parere sull’area mi pare semplicemente surreale. Sull’ippodromo il vincolo architettonico poteva essere messo da 8 anni, farlo oggi è una forzatura che forse ha un obiettivo più politico che non dettato dai fatti».

Lei quindi non ritiene che le torri, come dice la soprintendenza, rovinino la skyline?
«Un grattacielo, pure se non piace, consuma meno suolo per la sua estensione verticale. E un’altra qualità del progetto è la bellezza: a Roma c’è un centro favoloso e periferie bruttissime. Per il progetto sono stati scelti architetti di fama mondiale come Libeskind e Kipar che ha disegnato il parco fluviale, valorizzando all’uso dei romani decine di ettari: avremo edifici “belli” anche in periferia».

Per qualcuno con quest’opera si fa un regalo ai privati.
«In questa città servono interventi che lo Stato non può finanziare: l’unica soluzione è percorrere la strada dell’interesse privato, quando incontra come in questo caso l’interesse della collettività».

(La Repubblica – M. Pinci)



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