«Manca solo la firma, questione di ore, al massimo di giorni», si diceva in quel di Boston due mesi e mezzo fa, dopo una batteria di riunioni tra gli emissari di James Pallotta e i nuovi vertici della Eurnova, la società di Parnasi che ha dovuto azzerare la catena di comando con l’arresto del costruttore, a giugno 2018. Sembrava cosa fatta la vendita dei terreni di Tor di Valle, quelli su cui i privati vorrebbero tirar su il nuovo stadio della Roma e soprattutto il mega-complesso di uffici, negozi, ristoranti e alberghi. La firma per la cessione, però, non è mai arrivata, nonostante gli annunci, anche nelle settimane passate, della messa in calce imminente, rallentata solo da quisquilie burocratiche, risolvibili in 48 ore al massimo. E invece niente.
A frenare James Pallotta, dice chi sta seguendo da vicino l’affare, è soprattutto la sequela di stop & go che ha collezionato il progetto da quando, nel 2013, è stato presentato. Se la prende, il manager americano, coi ritardi delle procedure italiane anche se, qualche tempo fa, ha dovuto ammettere che anche il partner scelto per l’operazione, Parnasi appunto, ha avuto il suo peso, nel rallentare il tutto, dato il deflagrare dell’inchiesta giudiziaria.
Ora le nuove indagini, con l’accusa di abuso d’ufficio a Virginia Raggi e gli accertamenti sulle cubature, rendono la pratica stadio sempre più scottante, nei cassetti del Campidoglio. Al netto degli annunci della sindaca – «voteremo la variante entro l’estate» – c’è una pattuglia sempre più nutrita di consiglieri grillini che tiene i piedi incollati sul freno, che rispolvera gli slogan della campagna elettorale del 2016, quando la bussola del Movimento era puntata sul «no a Tor di Valle, no alla speculazione». C’è anche chi, come la presidente della Commissione Urbanistica, Donatella Iorio, ha ventilato la possibilità di rimettere ai voti la delibera che ha conferito il «pubblico interesse» al progetto, nel 2017.
Anche per questo, forse, Pallotta è guardingo. E ci va cauto sull’acquisto dei terreni di Parnasi. Perché è vero che l’operazione discussa a Boston a metà febbraio riguardava solo un pre-accordo – detto all’inglese, «sales and purchase agreement» – con una clausola legata all’approvazione definitiva della variante. Ma è anche vero che il manager, siglando il tutto, dovrebbe versare una caparra da 9-10 milioni di euro alla Eurnova, subito. Sperando poi che il progetto non si areni di nuovo, tra una bega giudiziaria e una rogna politica. Dati i precedenti, non c’è da scommetterci.
«SIAMO LONTANISSIMI» E difatti, mentre le indagini si moltiplicano, in Comune i privati litigano con i tecnici dell’Urbanistica, che hanno appena stilato la bozza di convenzione. Ma non c’è accordo su svariati punti: l’unificazione dell’Ostiense-via del Mare, la tribuna del vecchio ippodromo da ricostruire, i 45 milioni per la mobilità da versare in un’unica tranche, così chiede il Campidoglio, la clausola che legherebbe l’apertura dello stadio al potenziamento effettivo dei trasporti. «Siamo lontanissimi», dicono in Comune. E da ieri sono state sospese tutte le riunioni con i proponenti.
(Il Messaggero – L. De Cicco)
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