Cancellare la delibera di pubblico interesse – sia nel caso venisse annullata, come volevano Sanvitto e la Lombardi, per vizio di legittimità, sia venisse revocata in autotutela potrebbe costare ai romani 8 miliardi e mezzo di euro. Non ci sono, in questo computo, solo i soldi che vanno via in termini di mancati lavori e investimenti privati ma anche e soprattutto come causa al Comune, gli introiti mancati come tasse e, infine, il taglio delle stime di crescita del Prodotto interno lordo cittadino che la costruzione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle avrebbe comportato. Al di là dei pareri dell’avvocatura capitolina – da quanto trapela, quello che deve giungere sarebbe almeno il secondo parere richiesto – e di quelli dei vari studi legali privati interpellati da singoli consiglieri pentastellati, una cosa appare chiara: la Roma, la causa, la farebbe immediatamente. E gli zeri della richiesta di risarcimento danni sarebbero tanti. Vi sarebbero due problemi: uno a carico del bilancio comunale. L’altro, personale, per Sindaco, Giunta, Consiglieri e funzionari. Se un domani il tribunale riconoscesse l’illegittimità dell’annullamento della delibera Marino, la Corte dei Conti potrebbe chiedere il risarcimento del danno erariale a chi avesse assunto e avallato la decisione. A parte questo, però, va considerato che la legge obbliga il Comune ad accantonare in bilancio i fondi necessari a pagare l’eventuale risarcimento danni, indipendentemente da quando verrà discussa la causa e dal suo esito. Insomma, i soldi devono esserci e quindi vanno immobilizzati. Secondo quanto è filtrato in questi mesi, la Roma potrebbe intentare una causa di risarcimento danni per una cifra oscillante fra uno e due miliardi e mezzo di euro: un ammontare che, nei fatti, condannerebbe la Capitale alla bancarotta: anche solo accantonare un miliardo sul prossimo bilancio significa non poterlo chiudere. Detto del problema risarcimento danni, poi, vanno sommati i costi derivanti dai minori introiti. Il progetto muove un valore di capitali per poco meno di 1,7 miliardi di euro. Di questo miliardo e settecento milioni, 445 milioni sono i soldi che Pallotta e Parnasi avrebbero destinato alle opere pubbliche: strade e fogne, la messa in sicurezza dei fossi del Vallerano e dell’Acqua Acetosa, l’unificazione della via del Mare/Ostiense e il suo rifacimento, le complanari sull’autostrada con lo svincolo a Parco de’ Medici, il ponte carrabile sul Tevere e la strada di connessione fra questo ponte e la via del Mare.
E poi i soldi per il trasporto pubblico (la Roma–Lido), il rifacimento della stazione di Tor di Valle e la passerella ciclopedonale dalla stazione Magliana della linea ferroviaria Orte-Fiumicino aeroporto. Più il parco fluviale e quelli urbani, 63 ettari di verde, il sottopasso di via Luigi Dasti, gli attracchi sul Tevere. Un patrimonio di opere pubbliche cui il Comune a 5 Stelle rinuncia. E poi c’è l’indotto. Secondo uno studio dell’Università La Sapienza, commissionato dai proponenti, il progetto avrebbe comportato circa 25 mila posti di lavoro, di cui 20 mila nel Business Park, 1500 nel settore edile durante la costruzione e 4 mila posti nel commercio una volta aperta l’ area dei negozi, pub, bar e ristoranti. Sempre La Sapienza ha calcolato l’impatto della realizzazione dell’opera sul Prodotto interno lordo della città. Si tratta di stime che però rendono appieno il forte ritorno economico dello Stadio: 5,6 miliardi di euro di Pil nel primo triennio; 12,5 nei primi 6 anni e ben 18,5 nell’arco di nove anni. In sostanza, la media è oltre 1,5 miliardi di euro l’anno con una proiezione crescente che finisce per portare la media indotta a circa 4 miliardi ogni 12 mesi di movimentazione dica pitali. Rinunciando al progetto, inoltre, il Comune andrebbe a perdere anche le tasse locali che la realizzazione dell’ impianto di Tor di Valle comporta: La Sapienza stima in 142 milioni di euro ogni anno l’aumento delle imposte che andrebbero nelle casse capitoline. Il conto cumulato per la fiscalità generale dello Stato sarebbe pari a 1,4 miliardi di euro fino al 2026 mentre l’effetto moltiplicatore annuale dell’aumento delle tasse viene stimato in altri 30 milioni. Vi è poi, e questo tocca più da vicino i cuore dei tifosi, un ultimo dettaglio: la possibilità per la Juventus di avere un impianto di proprietà le ha consentito di incamerare circa 300 milioni di euro in 5 anni. Una cifra forse ancora bassa rispetto alle altre squadre europee ma che la pone su un piano di distanza netta con tutte le competitrici italiane in termini di potere di acquisto. Se lo Stadio salta, invece, a Roma oltre tutti i danni in termini economici, si rischia di rimanere ancora per chissà quanto una realtà minore del calcio italiano ed europeo.
(Il Tempo – F. Magliaro)
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