Lo stadio della Roma rischia di diventare il teatro di uno scontro politico. Il Comune pentastellato (distratto da altre questioni) da una parte, la Regione dall’altra. Nessuno ha voglia di appendere il cappello sul “sì” definitivo, nonostante gli investimenti per un miliardo e 200milioni, di cui un terzo in opere pubbliche, previsti dal dossier. Mettere la firma definitiva vuol dire assumersene la responsabilità (anche giudiziaria).

Chissà se qualcuno lo ha spiegato al presidente americano della Roma James Pallotta: sbarcherà in città sabato, e nella sua fittissima agenda una data è segnata in rosso. Martedì alle 14 è atteso in Campidoglio dal triumvirato M5S che ha in mano il progetto di Tor di Valle: la sindaca Raggi, il vice Frongia e l’assessore all’urbanistica Berdini. Un appuntamento più che altro formale, per conoscersi. Il giorno prima quasi per par condicio vedrà anche il governatore Zingaretti: il giorno è stato incasellato tra gli impegni del presidente ad Amatrice per il terremoto.

Nell’attesa, l’iter istituzionale del progetto stadio va avanti. Da quando il comune ha trasmesso in regione il progetto sono iniziati i 180 giorni di tempo per far ratificare il via libera alla giunta regionale. Per questo, anche Zingaretti ha deciso di accelerare i tempi: dal Campidoglio, cui aveva sollecitato il parere sulla conformità del progetto alla delibera di pubblico interesse, ha ricevuto soltanto qualche osservazione (un modo per fare melina). Con il suggerimento a “richiedere al proponente (cioè alla Roma) integrazioni alla documentazione”. L’intenzione però, in ossequio alla legge, è di ignorare il consiglio. E di far partire, magari già martedì prossimo, la conferenza di servizi decisoria: l’ultimo atto, di fatto, prima di iniziare a scavare. I primi passi sono già stati messi in atto, c’è la convinzione di chiudere entro i 180 giorni previsti dalla legge (scadono il 26 febbraio) l’intero iter. A quel punto il dossier dovrebbe tornare all’assemblea capitolina, che dovrà approvarlo: ma a Trigoria sono convinti che questo passaggio sia un semplice atto dovuto, visto che già la delibera di pubblico interesse vale come delega per l’approvazione delle varianti al piano regolatore. In regione al contrario sono convinti che sia proprio il Campidoglio a dover votare le variazioni. E quindi che l’ultima parola, spetti ancora ai Cinquestelle.

(La Repubblica – M. Pinci)



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