Cinque stelle nella mano destra e i cinque cerchi delle Olimpiadi cancellate nella sinistra. Sfila scortata da un Beppe Grillo vestito a mo’ di gladiatore e in sella alla lupa capitolina, schiacciando l’ex premier Matteo Renzi, una Virginia Raggi di cartapesta. Sfila al carnevale di Sciacca, in Sicilia, la versione XXL della sindaca che, pur avendo raggiunto l’accordo sullo stadio, è comunque costretta a vivere sul chi va là. Perché al netto del tentativo di ricompattare la squadra del capogruppo M5S Paolo Ferrara («Abbiamo detto sì e sarà sì. Su Tor di Valle ci saranno tutti i 29 voti dei nostri consiglieri e anche quello di Virginia Raggi») il terrore del Movimento è che in aula, proprio sul più bello, possa palesarsi qualche mal di pancia tra gli eletti grillini.

D’altronde i segnali non mancano. Alessandra Agnello, Agnese Catini e Alisia Mariani si sono espresse contro lo stadio nella consultanzione interna di venerdì pomeriggio. Teresa Zotta e Gemma Guerrini hanno lasciato il Campidoglio prima del voto. Cristina Grancio, contraria per ideologia alla cementificazione, si è astenuta. Se il cortocircuito dovesse ripetersi in aula Giulio Cesare, con 24 consiglieri, il M5S non avrebbe più la maggioranza. Ecco, allora, il richiamo del capogruppo sulle pagine di Avvenire. Per serrare i ranghi, per evitare di trovarsi a chiedere aiuto alle opposizioni in extremis.

Anche perché gli sos pentastellati rischierebbero di essere rispediti al mittente. Michela Di Biase, capogruppo del Pd, aspetta il progetto definitivo del nuovo stadio della Roma prima di esprimersi. Ma già ora avverte: «Se ci dovesse essere un taglio delle opere pubbliche…». Svetlana Celli, unica eletta della lista RomatornaRoma, si sbilancia di più: «Come tifosa direi di sì, ma se il progetto perderà di interesse per i cittadini non lo voterò». La stessa aria si respira tra gli scranni del centrodestra, dove i consiglieri eletti tra le fila di Fratelli d’Italia sono categorici: «Non ci dovranno essere sconti per nessuno». Alessandro Onorato della Lista Marchini ricorda il 2014: «Votammo contro perché già allora volevamo più opere pubbliche». Mentre Ignazio Cozzoli del gruppo misto assicura che «con il taglio delle infrastrutture arriverà un “no” deciso». Scontato come quello di Stefano Fassina. Il consigliere di Sinistra per Roma oggi pomeriggio sarà in Campidoglio per una tavola rotonda con Vittorio Emiliani, Vezio De Luca, le associazioni e i sindacati anti-Tor di Valle: «Si rischia una nuova colata di cemento e dal progetto scompaiono alcune infrastrutture rilevanti».

Il ponte dei Congressi e quello dello stadio sono infatti alternativi: non saranno realizzati entrambi. I 15 treni — ogni convoglio costa tra i 7 e i 9 milioni di euro — che avrebbero dovuto rimpinguare la dotazione della Roma- Lido spariranno dal progetto del nuovo stadio della Roma. Ne arriveranno solo 2, per un taglio netto di circa 100 milioni sulle opere pubbliche. Stralciati anche i quattro pontili sul Tevere previsti dal piano originale. Via anche un sottopasso carrabile da più di 10 milioni di euro.

Una diminutio, l’ultima, che ha provocato il voto contrario di una delle tre elette grilline. E che, sommata alle altre, ha scatenato gli attivisti 5S del tavolo urbanistica: «Noi siamo qui per ricordare ai consiglieri che sono stati eletti per rispettare la legge – spiega Francesco Sanvitto, storico iscritto al Movimento – se poi voteranno una delibera illegale, siamo pronti a rivolgerci al Tar, alla procura e alla Corte dei conti». In una lotta fratricida a cui sembra voler partecipare anche Francesca De Vito: «Bisogna ottenere il nuovo progetto – quello su cui è arrivato il placet del fratello Marcello, il presidente dell’assemblea capitolina – e capire se lo hanno privato dei grattacieli, ma anche di tutte le opere destinate ai cittadini». Tra base ed eletti, il capogruppo Ferrara avrà il suo da fare.

(La Repubblica – L. D’Albergo)



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