Da una parte c’è lui, l’avvocato Alessandro Canali, consulente legislativo del gruppo 5 Stelle in Regione Lazio, salito agli onori delle cronache dopo la convocazione in Procura a proposito del dossier contro Marcello De Vito. Dall’altra ci sono loro, i deputati M5S Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, emissari delle volontà di Beppe Grillo, delegati da Luigi Di Maio alla gestione degli Enti Locali. In mezzo, i consiglieri comunali del Movimento: quei 33 “portavoce” che condividono con Virginia Raggi la responsabilità di dire sì o no allo stadio della Roma e soprattutto alle ingombranti cubature che gli stanno attorno.
Ognuno dei protagonisti di questa storia gioca la sua parte in commedia. E mercoledì pomeriggio in Campidoglio si sono ritrovati per la prima volta a recitarla tutti insieme. L’avvocato Canali – che, va ricordato, è un fedelissimo di Roberta Lombardi, a sua volta acerrima nemica di Virginia Raggi – era lì per illustrare il parere legale che il gruppo dei consiglieri regionali con cui collabora ha chiesto allo studio Imposimato sulla questione delle questioni: rischiano, i grillini, cause milionarie se bocciano il progetto Parnasi e Pallotta?
Piccola parentesi per i meno avvezzi alla materia esiste una delibera, approvata durante l’era Marino, che dichiara l’interesse pubblico dell’opera visto che l’accordo coi costruttori – oltre allo stadio e alle “torri” – prevede una serie di compensazioni a beneficio della città (trasporti, strade, messa in sicurezza dell’area a rischio idro-geologico). Ecco, tornando a Canali e al parere chiesto dai grillini laziali: se si ritira quella delibera, si sono domandati, cosa rischia il Comune? Niente, sostiene lo studio Imposimato, perché l’interesse pubblico finisce dove comincia il milioncino di metri cubi che comprenderà uffici, negozi, alberghi e che, adesso, Raggi e i suoi, vorrebbero far scendere almeno a 650 mila. Così l’altro ieri, il lombardiano Canali era lì a tranquillizzare i consiglieri: nessuno farà causa al Comune, tanto meno a voi eletti. Insomma: votate per il ritiro. Dall’altra parte del tavolo, i due ambasciatori dei vertici M5S la vedevano in tutt’altra maniera. Oltre alla grana legale, per loro la questione è politica: i 5 Stelle capitolini, che finora non hanno brillato in efficienza, non possono permettersi un altro no, checché ne dicano gli ortodossi della “base”. Ieri, sul blog, è arrivato il diktat agli attivisti (Francesco Sanvitto su tutti) che a Roma chiedono un incontro tra la sindaca e gli anti-stadio: “Gli unici titolati a parlare sono gli eletti”, ha ammonito Grillo. La scadenza del 3 marzo – quando il progetto dovrà avere un sì o un no in Conferenza dei Servizi – è dietro l’angolo: la Regione Lazio non accetterà modifiche alle opere pubbliche previste dalla delibera Marino, ipotesi non proprio remota se i costruttori dovessero acconsentire a un taglio delle cubature previste. Resta un ultimo appiglio per i contrari: il parere dell’avvocatura comunale, che dovrà esprimersi sulla legittimità dell’accordo siglato da Marino. Quel giorno, comunque finisca, la guerra interna sarà appena cominciata.
(Il Fatto Quotidiano – P. Zanca)
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