In attesa dell’incontro decisivo tra la giunta Raggi e i promotori del nuovo stadio giallorosso, previsto per oggi all’ora del the, il Campidoglio è diventato il porto delle nebbie. Nessuno sa, al momento, cosa la sindaca di Roma abbia stabilito di fare, stretta com’è tra l’ostilità dei consiglieri cinquestelle in gran parte contrari al progetto e il pressing dei vertici intenzionati a portarlo avanti; al netto del niet di Grillo su Tor di Valle che ha finito per ingarbugliare la matassa. E perciò propensa, prima di muovere, a scoprire le carte della Roma Calcio e del costruttore Luca Parnasi. Sapendo però di poter contare sull’ultimo parere chiesto all’avvocatura capitolina, che consentirebbe di annullare in autotutela la delibera di pubblico interesse varata dall’amministrazione Marino nel 2014 per vizi di legittimità.
Rilievi talmente gravi da azzerare il rischio delle penali milionarie ventilate dal dg giallorosso Mauro Baldissoni e dal costruttore Luca Parnasi. Senza considerare la protesta dei tifosi, che minacciano di marciare sul Campidoglio, e l’ultimatum del patron James Pallotta, cui ieri ha dato man forte il presidente dell’Uefa Aleksander Ceferin: «Se non si farà lo stadio sarà un disastro per tutto il calcio italiano». E l’allenatore della Roma Luciano Spalletti prefigura un disimpegno di Pallotta: «C’è anche da aspettarsi che prenda e vada via».
Eccola la exit strategy individuata da Virginia Raggi per superare l’impasse in cui lo scontro interno al Movimento l’ha precipitata. Una spaccatura tra l’ala ortodossa rimasta fedele alla linea anti-cemento e quella più governista improntata al dialogo, anche coi “palazzinari”. Due binari che tuttavia la sindaca non dispera di far incontrare, alla fine. Puntando sulla controproposta che oggi pomeriggio — grazie al lavoro degli sherpa che per tutto il giorno hanno brigato sottotraccia — i promotori dello stadio illustreranno alla giunta grillina: un ulteriore taglio di cubature rispetto alle 750mila già concordate, una maggiore spinta green, il potenziamento degli interventi contro il pericolo esondazione paventato dal capo. Disposti, perfino, ad allargare il vertice ai 29 consiglieri M5S «per sfatare tutte le leggende metropolitane fiorite sul nostro progetto e spiegare i benefici che porterebbe alla città e alle casse comunali». Solo a quel punto Raggi riunirebbe la sua maggioranza per concordare la mossa finale. Lasciandosi aperta ogni strada fino all’ultimo istante: sia proseguire l’operazione immobiliare, condivisa però da tutti; sia bloccarla, annullando la delibera Marino.
Una strategia che ieri Luigi Di Maio è parso confermare: «Sarà Virginia a decidere. Fermo restando che le scelte del M5S sono sempre ispirate ai nostri valori, cioè ambiente, dissesto idrogeologico e sviluppo economico. Non ci inchiniamo al Dio cemento, ma pensiamo anche che la Roma debba avere uno stadio e vogliamo trovare una soluzione». Più o meno le stesse parole pronunciate da Carlo Sibilia all’uscita dall’Hotel Forum: «Lo stadio si farà, sono in corso riunioni tecniche, ma non c’è assolutamente il rischio di penali in caso di stop». Mentre Grillo tentava l’ennesima capriola: «A Roma c’è un ufficio urbanistica con gente in gambissima che presto darà delle risposte». Ovvero l’ultimo asso in mano alla Raggi: un parere del Dipartimento che confermerebbe il rischio esondazione a Tor di Valle. E ciò a dispetto della relazione che l’Autorità di bacino del Tevere ha depositato in conferenza dei servizi, classificando la zona del nuovo stadio come R3, la stessa dell’area in cui dal 1953 sorge il vecchio Olimpico. E che da allora non s’è allagata mai.
(La Repubblica – G. Vitale)
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